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“Una storia di hippies italiani”, recita il sottotitolo ed è assolutamente vero. Una storia, personale, condotta sul filo della memoria di chi c’era, ovvero l’autore, Walter Pagliero, e una delle mille storie che si potrebbero raccontare di quegli anni. Dimenticate però le oleografie, le figurine Panini degli hippies sorridenti con un fiore in bocca e il sorriso negli occhi. Perché questa è una storia cruda: come scrive Marco Denti nella prefazione a questo volumetto di memorie, “l’innovazione, le rivoluzioni, gli esperimenti, anche soltanto un campo di tende un po’ storte, sono sempre un evento, un segno dei tempi, se in mezzo c’è una frontiera o meglio ancora un oceano”. La storia di Barbonia City, un accampamento di tende abitato da beatnik (non ancora hippies, ma in procinto di diventarlo) nella Milano della primavera 1967, in via Ripamonti, in un terreno nemmeno occupato, ma affittato regolarmente e pagato in anticipo per quattro mesi, dal 1 maggio al 31 agosto. Lo scopo? Dare un tetto, anche se di tessuto, ai ragazzi che affollavano la “cava”, ovvero la sede della rivista “Mondo Beat”, in via Monte Nero 73.
Ecco, vedete, questa è una storia cruda, innanzitutto per il motivo per cui questi ragazzi di tanti anni fa scappavano di casa. Un motivo difficile da immaginare nell’Italia di oggi e riassunto benissimo da Pagliero: “Di notte uno di loro aveva un incubo ricorrente, gridava: «No papà, adesso basta, basta con le botte!» […] Una ragazza scappata di casa mi regalò un suo quadro, il mezzo busto di una donna senza volto con un enorme chiodo piantato in testa. Alla mia domanda «cosa significa quel chiodo?» lei rispose abbassando gli occhi «è la mia famiglia»”. Ecco: l’Italia del 1967, nonostante i vestiti sgargianti dei gruppi beat di successo che sfilavano a Studio Uno e a Sanremo, era questa. Gli scappati da casa, capelli che iniziavano a essere lunghi, jeans o pantaloni a righe verticali, collane e monili, cominciavano ad affollare le stazioni della metropolitana milanese quando ad organizzarli giunsero, per caso, Vittorio Di Russo, scultore, poeta e agitatore anarchico, espulso dall’Olanda per la sua partecipazione alle azioni dei Provos, e Melchiorre “Paolo” Gerbino, rientrato in Italia dall’esperienza nell’underground svedese: furono loro ad aggregare i beatnik milanesi, fondando “Mondo Beat” nell’ottobre 1966. Dopo l’arresto di Di Russo e la sua decisione di tornare nel suo Lazio, rimase il solo Gerbino a dirigere la rivista. Chiamato dalla stampa “il profeta bianco” per l’abitudine di indossare un giaccone di pelle di quel colore, fu lui ad avere l’idea della tendopoli di via Ripamonti, ribattezzata dalla stampa “Barbonia City”. Ve l’avevo detto che questa era una storia cruda. Dopo un mese di campeggio e di assalti della stampa sia scandalistica che benpensante, una madre chiamò la polizia per riavere il figlio. Risultato? Quattordici volanti intervenute, campeggio raso al suolo, decine di arresti e fogli di via, prato disinfestato con dosi massicce di DDT.
“Di tutti i beatnik del mondo, quelli che mi fanno più tenerezza sono quelli italiani, perché protestano contro qualcosa che, nella migliore delle ipotesi, riusciranno a vedere soltanto i loro figli” recita la citazione di Allen Ginsberg posta a inizio del volume. L’importanza di Barbonia City è enorme, ma è una vicenda sottaciuta. Eppure, nell’immediato, si posero qui le basi italiane per l’esistenza di una controcultura che fosse modo di vivere altro: nacquero da qui le comuni agricole (nel 1967!), e poi seguirono i centri sociali. Ma soprattutto è qui, come in altre vicende forse ancora più remote (come quella di David Lazzeretti nel 1878: fatevi un giro su Wikipedia), che c’è la radice della strage di piazza Fontana o dei fatti di Genova, di quel mostro a cento teste che periodicamente si manifesta quando appare all’orizzonte qualcosa in grado di metterne in discussione il potere. Ecco perché questo di Walter Pagliero è una testimonianza importante ed emozionante e un libro da avere assolutamente, anche per ricordarci da cosa fuggivano beatnik e hippies. Consigliatissimo.
Articolo del
07/11/2012 -
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