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Nell’immaginario collettivo le città fantasma sono qualcosa che perviene al vecchio e selvaggio West, buone per qualche film di cowboy o per qualche horror quasi sempre degli anni 70. Invece, anche se era facile sospettarlo, inaspettatamente esistono anche da noi. Sono i piccoli borghi, perlopiù di montagna, ma non solo, che l’emigrazione verso la città ha spopolato. Ma anche qualche strano evento naturale. Un alluvione. O una valanga. Marco Magnone è andato in giro per Liguria, Piemonte e Lombardia, alla ricerca di alcuni di questi posti, dimenticati dagli uomini e in qualche caso anche da Dio, e ne ha tratto una guida tanto inconsueta quanto affascinante.
In un mix tra diario di viaggio, resoconto di incontri in cui la parola viene ceduta a chi ancora vive in questi luoghi sperduti o ne è andato via ma torna a prendersene cura, spinto dalle ragioni del cuore, storia popolare sul modello del Mondo dei vinti di Nuto Revelli, indagine giornalistica sugli eventi oscuri del passato e rievocazione storica, Magnone riesce nel difficile intento di trasmettere il fascino di questi luoghi lontani, spesso raggiungibili solo a piedi. Alcune storie sono davvero spettrali, come quella di Pian Gelassa, stazione sciistica la cui costruzione, figlia dell’ottimismo del boom economico, fu spazzata via da una valanga nel 1960, e i cui resti incompiuti giacciono tra i monti come un monito sull’invincibilità della natura. o quella di Consonno, antico borgo nei pressi di Erba trasformato negli anni 60 dall’imprenditore Mario Bagno in un parco dei divertimenti o paese dei balocchi che dir si voglia, piallando colline e costruendo minareti di una piccola Las Vegas. Anche qui la natura si è ripresa quello che l’uomo le aveva tolto: nel 1976, una frana alluvionale, la stessa che distrusse gli studi del Mulino di Lucio Battisti, isolò il Luna Park, già in declino, dal resto del mondo. I rave party abusivi hanno fatto il resto. Sorprendente la storia di Carrega Ligure, dove il comune vendeva vecchie case di montagna a un euro e dove ha finito per impiantarsi un centro studi sulla meditazione fondato da un’amica (indiana) di Gandhi. Gli unici momenti in cui il libro di Magnone perde colpi sono quando riporta le parole di qualche membro di qualche associazione: lo stantio linguaggio paraburocratese e parapolitichese dell’associazionismo è un colpo mortale a ogni poesia, a ogni fascinazione e pure a ogni riflessione seria sul senso della storia di questi luoghi. Ma in tutto il libro succede solo un paio di volte, per fortuna.
Completano il tutto le belle illustrazioni di Riccardo Cecchetti e la colonna sonora dei Fasti, improntata a un post-rock di vaga origine morriconiana non originale, ma decisamente efficace nel descrivere atmosfere e suggestioni dei luoghi descritti nel libro.
Articolo del
22/11/2012 -
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