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Quali sono le città del rock? Memphis, la Liverpool del Mersey Sound, la San Francisco della prima Summer of Love, la Londra prima Swingin’, poi punk, poi post-punk, poi della seconda Summer of Love, Canterbury, Glasgow, Los Angeles, la New York new & no wave, la Berlino del kraut e della prima rinascita di Bowie, Seattle... Tante, indubbiamente. Quella che non può mancare è certamente Manchester, in ombra fino al 1976 e da lì al 1994 di Definitely Maybe una delle capitali della musica che ci fa scaldare il cuore, patria di Buzzcoks, Joy Division, New Order, The Durutti Column, Section 25, The Fall, The Smiths, Happy Mondays, The Stone Roses, James e, appunto, Oasis, band che segna la fine dell’egemonia mancuniana sul rock, dato che, dei citati, è l’unica che per emergere se ne sia andata a Londra. Il motivo? Aveva chiuso i battenti il collante tra tutte le esperienze succitate: la Factory di Tony Wilson.
Di questa Manchester che tremare il mondo faceva, testimone fotografico è stato Kevin Cummins, uno che, per dire, ha lavorato per The Face, New Musical Express, The Times, The Observer, The Guardian, Esquire, Maxim, Elle, Vogue e Mojo, tra gli altri. Manchester. Suoni e visioni da una città è il racconto, in breve, a flash, di questa epopea, equamente divisa tra breve narrazione dei momenti topici della scena di Manchester, a partire dal mitico e seminale concerto dei Sex Pistols alla Lesser Free Trade Hall, il 4 giugno 1976, a cui assistettero appena 35 persone, quelle 35 persone che poi fondarono una band e cambiarono la storia del rock, e le foto di Cummins che immortalano l’essenza di band, città, pubblico mancuniani: la 24 hour party people, insomma.
In un rigoroso bianco e nero, che a volte si sgrana nelle brume inglesi, nelle nebbie delle discoteche o nelle ombre dello spirito dei protagonisti di questa storia che Cummins coglie magistralmente. Suoi alcuni ritratti che hanno fatto epoca e sono delle autentiche icone: lo sguardo intenso di Ian Curtis mentre aspira il fumo di una sigaretta; Morrissey sotto il ponte sul Rochdale Canal; Shaun Ryder ripreso come in una foto segnaletica della polizia; gli Oasis nelle strade di East London. Bianco e nero, dicevo: quasi emblema di una vita tagliata col coltello in una delle città simbolo dell’industrializzazione, in cui il grigio dei fumi delle fabbriche diventa quello delle esistenze, indecise tra rabbia malinconica da un lato e voglia di riscatto dall’altro, sia essa sociale o edonistica, al ritmo dell’acid house e della chimica estatica. Consigliato a tutti gli amanti del pop inglese. Me too.
Articolo del
28/11/2012 -
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