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“Il Diavolo è mio amico. Io sono il suo, hm, prescelto. Di tutte le persone al mondo, lui è venuto da me e mi ha detto: «Roky, tu sei il mio...umano...?» Non so qual è la parola giusta. Tu sì?” (Roky Erickson, 1980).
Appena iniziato a leggerlo, dopo solo qualche decina di pagine, già mi si affollava in mente una sequela di esclamazioni che più che sembrare tali parevano titoli di dischi della Rettore: “Brivido divino! Meraviglioso delirio! Estasi clamorosa!” Forse disdicevole, di sicuro sincero. Perché anche questo libro di Nick Kent, originariamente uscito nel 1994 e poi ripubblicato e rivisto nel 2002 e nel 2007 (questa è l’edizione scelta da Arcana per farla tradurre alla brava Chiara Veltri), ha del sublime. Del sublime rock, sia chiaro. Innanzitutto perché Kent è uno dei migliori esempi del giornalismo inglese rock, uno che ha preso nelle sue mani (non solo sue) i destini del glorioso New Musical Express a inizio degli anni 70 e l’ha portato a essere settimanale rispettatissimo. Poi perché, anche se dalle nostre parti si gioca a burlarsi della stampa musicale inglese per la sua ricerca spasmodica della next big thing, quando i giornalisti rock inglesi riversano il loro sapere e la loro esperienza in un libro, il confronto è quasi sempre impietosamente perdente per i Soloni di casa nostra. E lo è per le stesse qualità che permisero a Kent di far rinascere l'NME: grande stile di scrittura, acuta capacità di penetrazione psicologica, gusto per l’aneddoto mai fine a se stesso ma rivelatore della storia (creativa) di un’anima o di un’epoca, chiara visione della relazione di personaggi e opere rock con la società che li circonda. Per di più i giornalisti inglesi (e Kent primo fra tutti) hanno dalla loro un paio di ulteriori qualità quasi sconosciute dalle nostre parti: pochi peli sulla lingua, quindi niente piaggerie; e il fatto di aver spesso vissuto le cose di cui parlano. Per dirne una, Kent seguì per un anno i Rolling Stones in tour, essendo parte attiva del folle entourage che i Glimmer Twins si portavano in giro. Oppure, quando devono intervistare questo o quel musicista, ci passano interi giorni insieme. Chissà se la crisi della musica ha interrotto questa virtuosa prassi. Fatto sta che da noi non c’è mai stata, con tutte le conseguenze del caso.
The Dark Stuff è quello che promette fin dal titolo: “roba oscura”, ovvero il lato oscuro del rock. Raccogliendo articoli commemorativi, reportage, analisi e interviste collezionate nel corso degli anni, Kent disegna una serie di ritratti indimenticabili di Brian Wilson, Jerry Lee Lewis, Roky Erickson, Syd Barrett, Brian Jones, Rolling Stones, New York Dolls, Lou Reed, Sid Vicious, Elvis Costello, Morrissey, Guns N’Roses, Happy Mondays, Stones Roses, Miles Davis, Roy Orbison, Neil Young, Kurt Cobain, Prince, Johnny Cash, Eminem, Sly Stone, Serge Gainsbourg e Phil Spector. Alcuni di questi risalgono proprio al primo periodo di collaborazione con NME, come i capitoli su Brian Wilson e Syd Barrett. Sono un esempio di giornalismo d’altri tempi, veri e propri romanzi che raccontano un dramma psicologico e umano proiettandolo a dimensioni epiche: il progressivo scivolare nella follia dei due geni di Beach Boys e Pink Floyd. Anche se Rob Chapman ha dimostrato che l’aneddoto con cui si apre il pezzo su Barrett è falso, questo non è stato inventato da Kent: gli è stato riferito da più fonti (Chapman ha dimostrato che si trattava di una leggenda metropolitana) ed era un’ottima scelta per proiettare il lettore all’interno della tragedia dell’autore di Apples And Oranges. Ritratti, questi, usciti nel momento in cui di Barrett e Wilson quasi nessuno si ricordava, ovvero a metà degli anni 70, e tanto lunghi da richiedere la pubblicazione a puntate. Ma una volta si faceva così: oggi il presupposto di una lettura veloce e distratta fa ritenere improponibili simili capolavori. Ma anche quando il racconto di Kent non si estende così in dettaglio e così a lungo, rimane sempre la capacità, anche in poche pagine, di fotografare con estrema precisione il momento umano e artistico del musicista di turno. Allievo di Lester Bangs (nel 1973 volò in America per chiedergli di insegnargli il mestiere, senza preannunciarsi), Kent ha superato il maestro ed è, come il maestro, uno di quegli scrittori rock che possono ambire a un posto nella letteratura tout court. Non essendo, come spesso accade, particolarmente esperto di musica (pur essendo musicista egli stesso: suonò nella primissima formazione dei Sex Pistols), Kent ha però il dono di un’acutezza di analisi sociale e psicologica capace di distendersi in canto. Ed ecco cos’è Kent: il cantore di un mondo perduto, quello del dorato mondo del rock 1965-1995, e soprattutto di quelli che in questo mondo potevano vincere, ma hanno perso. Raccomandatissimo e prezioso.
“Beh, non fu una rissa. Io e Sly picchiammo tutti quelli che si trovavano nella stanza. E poi ci fecero causa”. (Hamp Banks, guardia del corpo di Sly Stone, 2001).
Articolo del
13/12/2012 -
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