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Non ha fatto molto scalpore la pubblicazione da parte di Arcana dell’autobiografia di John Taylor, bassista dei Duran Duran, per una volta nello stesso anno della sua pubblicazione originaria. È un peccato e la prova di come la moda influenzi gli interessi anche degli acquirenti di libri musicali: oggi il breve revival degli anni 80 è bello ch’è finito e dei Durans, solo fino a qualche anno fa osannati e rivalutati come una delle band più di sostanza degli anni 80 (a differenza degli allora rivali, nei cuori delle ragazzine di trent’anni fa, Spandau Ballet), non si ricorda più nessuno.
Peccato, dicevo, perché, oltre ad aver pubblicato almeno un capolavoro assoluto della musica rock, l’album Rio, i DD hanno nel carnet almeno una quindicina di classici del rock e hanno influenzato in questo o quell’aspetto le band più insospettabili (Jonathan Davis dei Korn dichiarò, serissimo, che il suo modo di cantare era stato sostanzialmente influenzato in primis da quello di Simon Le Bon). E peccato perché, pur avara (ma non totalmente scevra) di aneddoti piccanti, l’autobiografia di Taylor è estremamente interessante per capire le radici di una band che tra 1982 e 1984 conobbe un successo mondiale con fenomeni di isteria di massa che fecero scattare in automatico il paragone con la Beatlemania di inizio anni 60. Colpisce innanzitutto l’ambiente di provenienza: Birmingham, grigia città della provincia del Nord Inghilterra, negli anni 70 e 80 non appariva né al piccolo e poi giovane John né ai suoi sodali, desolata e disperata come invece si legge della Manchester dei Joy Division o degli Smiths o della Sheffield di Cabaret Voltaire e Human League. Ma anzi, nel suo piccolo, una città alla moda, seppur di provincia: tanto è vero che quando John forma con Nick Rhodes i Duran Duran il loro sogno è di essere la band di tutta l’Inghilterra, e non quella portavoce di una città in particolare. E la positività di questo approccio si riverbera in qualche modo nella musica del gruppo, un perfetto mix di suggestioni glam e mitteleuropee alla Bowie e alla Roxy Music e di disco music alla Chic. Taylor, ex cocainomane e alcolista da poco disintossicato (“Per me, essere fumatore era qualcosa di strettamente collegato all’idea di avere un drink in mano e della cocaina in corpo”), ha una naturale riluttanza a parlare degli eccessi di un (lungo) tempo, ma è estremamente impietoso nei confronti di se stesso nel fotografare come la dipendenza abbia pesantemente condizionato i rapporti con gli amati genitori, le relazioni sentimentali, i rapporti interni al gruppo: ad esempio, si viene a sapere che il quasi scioglimento tra Powerstation e Arcadia era sostanzialmente una divisione tra fattoni (John & Andy) e sobri (Simon, Roger, Nick). Si rimane un po’ male a scoprire che il video di A View To A Kill, che tanto ci esaltò in gioventù, fu girato nell’astio reciproco (ecco perché i DD non compaiono mai insieme in nessuna scena) e che perfino per uno scatto fotografico sul set che li ritraesse tutti insieme fu necessario pregarli.
Nel complesso, quindi, un libro che mi sento di consigliare a tutti i duraniani, meno a chi non è strettamente fan del gruppo e cerca aneddoti forti e ritratti dello starsystem anni 80.
Articolo del
06/03/2013 -
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