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“Disco music & clubbing gay negli anni ’70-’80!” promette il sottotitolo. Le 301 pagine che seguono mantengono con dovizia di particolari: il saggio di Luca Locati Luciani è un interessante excursus nell’epoca del sorgere e del trionfo della disco music.
Che questo genere musicale fosse stato uno dei preferiti della comunità gay si sapeva, è luogo comune fino alla banalizzazione e alla deformazione caricaturale della realtà, esemplificata nell’esistenza di un gruppo come i Village People, che in realtà non furono mai visti bene dal movimento per i diritti degli omosessuali, proprio per il loro essere macchietta: il corrispettivo in musica della rappresentazione della omosessualità che al cinema fu di Il vizietto, film del 1978 (uno degli anni di maggior successo della disco, vedi un po’) con Ugo Tognazzi e Michel Serrault. E invece Luciani ci mostra un rapporto ben più stretto tra comunità gay e disco music, che nasce tanto da essa (elevatissimo il numero di musicisti e produttori gay, nonché di brani volutamente allusivi alla condizione omo, quasi mai esplicitamente per timore di perdere il mercato etero,) quanto dalla comunità afroamericana, con il significato di rivalsa nei confronti dell’oppressione subita dalla società Wasp dei decenni precedenti, come illustrato nel capitolo The Boys Come To Town. Interessantissima la descrizione delle discoteche gay Usa nel capitolo After Dark, luoghi quasi sempre forniti di dark room e in cui il sesso era libero (anzi, di più), così come il capitolo Dal liscio all’italo disco, che analizza e ricostruisce la situazione italiana. Molto bello il saggio sul Camp di Gianluca Meis. Fresche e piene di notizie e di spunti le interviste conclusive. Buono anche l’apparato iconografico, anche se penalizzato dal bianco e nero, sacrificio necessario e ben accetto per contenere i costi.
Se dal punto di vista dei contenuti il libro è promosso a pieni voti, non si possono tacere dei lati negativi. Primo lato, la grammatica: il libro ignora sistematicamente l’uso del congiuntivo e altrettanto puntualmente scrive le locuzioni avverbiali “in fondo” e “di fronte” tutte attaccate (aaaargh!), il che fa specie vista l’importanza degli argomenti e gli studi classici di Luciani. Sorge il dubbio: che le bozze del libro siano state corrette dal nipotino di sei anni dell’autore? Altra svista: in una parentesi compare l’appunto “aggiungere nota”. Ma gli editor si sono estinti? Secondo lato, la pesantezza, che paradossalmente non è dovuta agli argomenti (come già detto, interessatissimi): si ha la sensazione che la colpa un po’ sia di uno stile che non riesce a essere frizzante (in un libro sulla disco, un peccato...) e molto tanto di un’impaginazione poco ariosa, che comunica un senso di oppressione e affastellamento, quanto di una scarsa articolazione in sotto paragrafi del testo, cosa che avrebbe senz’altro giovato alla leggibilità del saggio. A proposito: perché non un indice analitico? Terzo: Luciani parla continuamente di movimento GLBT (Gay, Lesbiche, Bisessuali e Transgender), ma in realtà, come premesso dal sottotitolo, si parla quasi solo di gay. Perché prometterci notizie sul mondo LBT che non ci sono? Per amor di sinonimi? E dire che sarebbero state molto interessanti. A proposito: una delle poche cantonate del libro è però notevole: si afferma, correttamente, che Pete Burns, cantante e leader dei Dead or Alive è stato sposato per 26 anni con Lynne Corlett, una donna, senza mai fare coming out: il fine del discorso è però mettere in dubbio che Burns sia veramente gay e non magari un etero che ha sfruttato la situazione. Epic fail. Due sguardi avrebbero potuto salvare Luciani: il primo all’aspetto attuale di Pete Burns, stranamente simile a una Milly D’Abbraccio asian, che già qualche dubbio sul suo essere transgender potrebbe farlo sorgere; il secondo a Wikipedia, dove si racconta che Burns nel 2006 ha annunciato a Channel Four il suo fidanzamento con Michael Simpson, maschio anzi che no. Google immagini riporta numerose foto dei due che limonano. Sarò malizioso, ma io qualche sospetto ce l’ho.
In conclusione? Non fatevi ingannare: ho dedicato più righe ai difetti, che possono essere migliorati agevolmente in una seconda edizione, che ai pregi, perché sono pignolo e mi fa male un buon libro venga anche solo parzialmente rovinato dalla sciatteria. Ma i contenuti sono senz’altro importante: chi avrebbe mai immaginato che il funk fosse percepito come musica solo etero dalla comunità gay, per dirne una? Ah, volete sapere che significa il titolo? Eh, beh, dovete comprarvi il libro...
Articolo del
08/03/2013 -
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