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A un anno dalla scomparsa di Lucio Dalla, stupiva la mancanza di contributi di peso su di lui. Rimedia, per fortuna e ottimamente, il vecchio amico Gianfranco Baldazzi, in collaborazione con il fotografo Roberto Serra. È un libro che racconta molto del Dalla privato, regalandoci anche scorci inediti, anche importanti (uno per tutti: la bisessualità di Dalla, con tanto di nomi e cognomi di alcune protagoniste di love story col musicista bolognese, in modo da capire chi era la thailandese di Disperato erotico stomp, ad esempio). Baldazzi ci accompagna attraverso gli snodi del tormentato percorso umano e artistico di Dalla in maniera puntuale, narrativamente accattivante e mantenendo una certa apprezzabile oggettività, poco intaccata dall’affetto e dall’amicizia che ha legato i due per una vita (pur con qualche importante litigio).
Anche se a parer mio è un po’ troppo indulgente con il calo di ispirazione evidente nei dischi da 1983 in poi, Baldazzi non nasconde quello che è evidente a tutti, ovvero che negli anni 90 Dalla è diventato troppo calcolatore, troppo attento ad “avere in mano la situazione”, come diceva lui, troppo poco ispirato (Merdman grida vendetta). Sempre inquieto, sempre voglioso di essere un passo più in là e di provare nuove esperienze artistiche, a un certo punto Dalla, uno dei grandi della musica italiana per quello che ha fatto tra 1973 e 1981 in toto, e a sprazzi per il resto della carriera, ha perso il senso della misura, per quanto questa espressione possa avere senso per un uomo assetato di vita e pieno di splendide e feconde contraddizioni come lui.
Ma è proprio così, raccontando il bene e il male ed evitando sterili e zuccherose agiografie, che si rende il giusto onore a chiunque, trattandolo come una persona e non come un santino, inoffensivo e dimenticato su qualche altare. Ed è esattamente questo lo scopo che Baldazzi si prefigge (p. 25), costruendo peraltro un libro puntuale e preciso (di due errori che ho trovato, eccone uno: tra 68 e 71 Bennato, De Gregori e Venditti non passavano per radio, come invece si dice a p. 50, dato che gli ultimi due non incidono prima del 1972 e i 45 giri incisi da Bennato tra 1966 e 1971 cadono nella più totale disattenzione) che non tace e ci illumina sulla vita randagia e barbona degli anni romani (che affiorerà più tardi in testi come E non andar più via o La sera dei miracoli), sull’ipocondria che portò Dalla a un passo dal ricovero in psichiatria, sui vagabondaggi notturni per Bologna, sulle circostanze di nascita di diverse canzoni (il testo di Piazza Grande nacque in una cafeteria di Manhattan, d’ya know?), sul passaggio da freak guardato con sufficienza a popstar contesa da politici e Vip (Berlinguer e Craxi che se lo contendevano a suon di inviti nei loro salotti), sull’attività di talent scout (Luca Carboni, Samuele Bersani e Stadio i nomi più importanti), sul presenzialismo onnipotente degli ultimi anni, di cui ho già detto.
Corredano il libro le splendide foto di Roberto Serra, più alcune di Breveglieri e Ferrari, una splendida riflessione inedita di Dalla datata 2010, e un commosso ricordo dell’editore Roberto Mugavero. Vale i vostri soldi.
Articolo del
29/03/2013 -
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