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Nervi saldi e padronanza di sé sono due prerequisiti necessari per affrontare questa lettura. La maggior parte dei passaggi “in presa diretta” – interviste, dichiarazioni, estratti di testi - di ”Come Lupi Tra Le Pecore – Storia E Ideologia Del Black Metal Nazionalsocialista”, probabilmente vi appariranno talmente fuori di testa da farvi venir voglia di chiudere il libro e mettervi a urlare e spaccare tutto, non capacitandovi di come al mondo possa ancora esistere feccia umana capace di magnificare il Terzo Reich e le sue malefatte in termini così genuinamente entusiastici. Ma, date retta, mantenete calma e sangue freddo e cercate di arrivare sino alla fine di questo viaggio nero e perverso: “Come Lupi Tra Le Pecore” è oggettivamente uno dei migliori episodi dell’ormai imponente opera omnia di Tsunami Edizioni sul metal in tutte le sue possibili coniugazioni e declinazioni, forse proprio perché inerente un tema particolarmente problematico da gestire e da trattare, a cominciare dalla difficoltà nel raccogliere la necessaria documentazione e dalla prevedibile diffidenza dell’ambiente NSBM nei confronti dei media. Plauso meritatissimo, dunque, per gli autori Max Ribaric e Davide Maspero, che sono riusciti a svolgere uno studio approfondito su un mondo tanto inquietante quanto misconosciuto, mantenendo un rigore analitico e storiografico esemplare. Il problema del metal è la relazione con il grande pubblico: pochi lo ascoltano, molti ne parlano, moltissimi ne parlano male, e la maggior parte di loro non sa nemmeno di cosa si tratti. E’ insito nella natura umana sputare sentenze senza avere la benché minima conoscenza di ciò di cui si sta parlando. Giudichiamo per sentito dire, e non solo la musica. Da qui nascono i peana a cui qualunque essere umano indossi correntemente un’innocente maglietta degli Iron Maiden ha dovuto far fronte almeno una volta nella vita: metal = rumore inarticolato prodotto da ‘zozzoni’ dalla chioma incolta, gonfi di birra nella migliore delle ipotesi, adoratori di Satana nella peggiore. Se già in questi casi è perfettamente inutile perdere tempo e pazienza a spiegare che il pupazzo Eddy non è una rappresentazione del Maligno, figuriamoci se staremo qui a celebrare l’apologia del metallo elevato (o meglio, abbassato) a veicolo propagandistico dello stragismo e della pulizia etnica.
Non esiste revisionismo capace di razionalizzare certe azioni. E, achtung, qua non è in discussione il Mengele ritratto a tinte crude dagli Slayer nella loro celeberrima Angel Of Death che, per quanto forte e disturbante, ha sicuramente intenti più fotografici e narrativi che apologetici, e al netto di accuse più o meno fondate è, da un punto di vista strettamente thrash-metallico, un brano di quelli che non si discutono, immancabile in qualunque collezione; o la raccolta, già nota alle cronache, di cimeli nazi-bellici di Lemmy, il quale, sfoderando la sua personalissima lettura dei fatti (Storia del Secolo Breve secondo Lemmy: prossimamente sugli schermi Tsunami?), reputa il suicidio di Hermann Göring “un atto eroico”, ma definisce il Führer “un fottuto bastardo”. Nossignori, qui stiamo parlando di roba veramente becera: pazzi scatenati capaci di rilasciare dichiarazioni inequivocabili, di un tenore tale da riuscire a farvi inorridire anche se siete di destra, metallari e pure pagani - tre condizioni che, se coesistenti nella stessa persona, nell’Italia nazionalpopolare del 2013 sono sufficienti a condannare la suddetta all’emarginazione sociale. O a vivere sotto scorta. L’elitarismo portato all’estremo e la segregazione autoinflitta del genere NSBM discendono direttamente dal black metal primordiale: quello, per intenderci, che fa riferimento a Burzum, assurto, volente o nolente, a ‘maître à penser’ del metallo più marginale e scabroso. Sebbene, infatti, l’ineffabile Conte Varg – di cui non è in discussione il valore come artista - abbia da tempo preso le distanze sia dal mondo del metal, sia dalle intemperanze giovanili che gli sono valse un più che discreto soggiorno nelle patrie galere, è inevitabilmente da qui che bisogna partire: dalla Norvegia e dall’allegra combriccola chiamata Inner Circle, le cui pirotecniche scorribande ai danni di chiese e luoghi di culto assortiti fecero epoca nei primi anni 90. Il black metal e le sue caratteristiche connotazioni, compresi i punti di contatto con occultismo e anticlericalismo, sono figli di questo contesto. Non si tratta più della masnada di ragazzini terribili che, forte solo di qualche demo rudimentale e di una folle determinazione a sfuggire alla noiosa placidità di Stoccolma, ha messo in piedi dal nulla la corrente death nella vicina Svezia; stavolta abbiamo a che fare con gente che non scherza, che non solo ha capito perfettamente il potenziale propagandistico della musica, ma, diversamente da quanto avvenuto nel movimento death, è fermamente intenzionata a tradurre in azione il suo messaggio. E, essendo quest’ultimo tutt’altro che remissivo e caritatevole, il singolare ‘guerrilla marketing’ dei primi blacksters comporta inevitabilmente un bel po’ di casino.
Attenzione, però: chi l’ha detto che “anticlericalismo” e “satanismo” siano sinonimi? Se non ci si ferma alla superficie, è chiaro che le cose non stanno così né a livello semantico (l’anticlericalismo è, banalmente, avversione alla gerarchia e alle liturgie ecclesiastiche, non necessariamente connesso all’evocazione di forze demoniache), né a livello musicale: infatti, non solo Burzum, ma anche Mayhem, Immortal, e altri colossi del metallo nero celebrano nei loro brani una terra mitica, un’Atlantide perduta, le cui tradizioni sono state soffocate dall’avanzata del cristianesimo, ma il cui spirito sopravvive nel sangue del suo popolo nobile e fiero, che ovviamente disdegna il concetto di società multirazziale e tolleranza imposto dalla globalizzazione. Il riferimento alla mitologia norrena e vichinga non potrebbe essere più chiaro di così, e a ben guardare un germe discriminatorio è certamente presente. E’ questo germe la scintilla che darà vita ai pittoreschi, e per molti aspetti affascinanti, movimenti pagan e viking metal (che però si rifanno anche agli svedesi Bathory). Dunque, l’elemento di nostalgia per una terra che non c’è più e il culto delle forze della Natura che si esprimono alla massima potenza nel paesaggio boreale (elemento iconografico primario nelle musiche e nei testi black metal) rendono più logico parlare di paganesimo che di reale adorazione del demonio, almeno in questa prima fase. Le derive sataniste ci sono, inutile negarlo: resta sempre il dubbio di quanto ci sia di reale e quanto di astutamente pubblicitario in queste luciferine propensioni, buona parte delle quali talmente assurde e strombazzate da non lasciare adito a dubbi sulla loro natura mediatica.
Ma allora a che punto si inserisce l’odio razziale e la celebrazione dell’estetica nordica assume i connotati, ben più inquietanti, dell’esaltazione dell’arianesimo? Maspero e Ribaric espongono la loro tesi in maniera chiara e argomentata: se il limite di ciò che è lecito ed accettabile, specialmente in un contesto di spettacolo, che per sua natura estremizza qualunque rappresentazione, è destinato a spostarsi sempre più in là col passare del tempo, un’arte che voglia essere estrema e scioccante dovrà sempre trovare nuovi tabù da infrangere. Difficile dunque, nell’ecumenica Europa e nel mondo occidentale in generale, individuare “scheletro nell’armadio” più spaventoso, inconfessabile e universalmente deprecato della vergogna nazista. Il metallo nero, anche scevro da contaminazioni politiche, ha tutte le caratteristiche – isolamento, cupezza, misantropia, senso di superiorità – richieste per veicolare efficacemente il mito del superomismo. Ed è per questo che gruppi come Absurd, Satanic Warmaster, M8L8TH, Kristallnacht, Goatmoon, Aryan Blood, Grand Belial’s Key, Spear Of Longinus, Gontyna Kry, Kataxu e simili (noterete che i nomi sono tutto un programma) l’hanno cavalcato con parossistica violenza. La trattazione di Ribaric e Maspero non si ferma ai singoli gruppi, ma include divagazioni filosofiche esaustive e, a loro modo, anche suggestive su personaggi come Savitri Devi, Helena Blavatsky, Anton LaVey, il cui pensiero ha spesso fatto da ponte tra ideologia politica e occultismo; analizza le contaminazioni del NSBM con il panorama RAC* e Oi!, fino ad arrivare ai contatti con il movimento skinhead - prima che i metallari politicamente impegnati si rendessero conto che il fine ultimo di costoro era ubriacarsi e fare a botte più che difendere la purezza della razza; infine, delinea un’assai poco rassicurante mappa del National Socialist Black Metal “around the world”, presentando in dettaglio le varie scene NSBM in rapporto alla cultura e al contesto geopolitico dell’area presa in considerazione, dalla natia Scandinavia, agli USA in cui anche la più bizzarra forma d’arte può trovare estimatori e spazio per esprimersi. Si passa anche per l’Italia, dove il legame con il folkloristico pseudo-regime mussoliniano è molto più labile di quanto ci si potrebbe aspettare, per poi approdare in un insospettabile Sud America, ove un manipolo di aspiranti Amon Amarth in versione latina ha shakerato selvaggiamente arianesimo, filosofia nietzschiana e cultura precolombiana, dando vita ad un ensemble tra i più variopinti e meno coerenti che si possano immaginare. Del resto, ha senso parlare di coerenza quando nel metal, che certo non si può definire un genere musicale aristocratico o tendente all’esclusività, si insinua una scheggia impazzita come l’NSBM? Forse la coerenza non c’entra nulla, o forse sta nel fatto che la musica, e l’arte in generale, sono in grado di traghettare davvero qualunque tipo di messaggio, in forme talvolta anche tecnicamente pregevoli, senza inibizioni sui contenuti, e sta solo all’individuo sapere quali limiti porsi. (Ndr: *Acronimo di Rock Against Communism)
Articolo del
05/04/2013 -
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