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Strano e inconsueto, questo saggio di Michele Anelli. Parte dalla storia di quella che è stata forse l’unica emittente radio partigiana, Radio Libertà, appunto, attiva nel Biellese tra 1944 e 1945 e spazia pindaricamente nella storia della radio e nella musica che si è fatta portavoce di una certa aspirazione alla libertà. “Pindaricamente”, però, non vuol dire senza senso. Se è vero che Pindaro era un antico poeta greco accusato di saltare di palo in frasca, è altrettanto vero che lo faceva solo apparentemente: gli argomenti da lui affrontati erano in realtà legati da una profonda unità tematica. Lo stesso si può dire di questo volume di Michele Anelli, in cui la tecnica pindarica vuole esprimere l’unità profonda che per Anelli collega l’esperienza di Radio Libertà, la cui memoria vuol salvare dalle secche dell’oblio e della letteratura storica specializzata, alla sua esperienza esistenziale, ai valori sui quali ha basato la sua vita.
Anelli spazia così, fornendo anche notizie molto interessanti, dalle origini della radio in Italia alla formazione delle radio libere in Italia a metà degli anni 70, con focus su alcune di quelle più connotate politicamente, come Radio Alice (Bologna), Radio Aut (Cinisi, quella di Peppino Impastato), Radio Onda Rossa (Roma) e Radio Popolare (Milano), che sono anche quattro prototipi di diversi modi di fare radio. Si parla della passioni musicali di Anelli così come della sua carriera di musicista. A dispetto di quello che potrebbe far pensare l’aver trattato argomenti apparentemente marginali, primo fra tutti quello che dà il titolo al libro, la lettura è sempre stimolante, anche se talvolta Anelli scade un po’ nella retorica. Un difetto del libro, ma che sarà un pregio per un certo tipo di pubblico, è il considerare quella che è l’esperienza centrale del saggio di Anelli, ovvero la Resistenza, come patrimonio di una sola parte politica, quella comunista. Vecchio vizio della sinistra italiana, che nei decenni ha rivendicato solo per sé il merito della caduta del fascismo e della cacciata dei nazisti; vizio peraltro replicato dai non comunisti, che per altrettanti decenni hanno evidenziato come unico carattere della Resistenza quello di essere una guerra di Liberazione dall’invasore tedesco. Le due prospettive, ormai lo sappiamo, sono state entrambe non solo sbagliate (l’una negava la presenza di partigiani azionisti, socialisti, cattolici, liberali e monarchici; l’altra minimizzava il ruolo dei comunisti, certamente maggioritari numericamente), ma dannose: il nascondere che la Resistenza è stato un fenomeno composito, e cioè insieme guerra di Liberazione dai tedeschi, guerra civile tra antifascisti e fascisti (che sono italiani anche loro) e guerra rivoluzionaria (nella visione della base comunista), ha condotto a dare legittimità al recente revisionismo, che ha avuto il suo portavoce in Pansa, che ha avuto il palese obbiettivo di screditare la Resistenza in toto, proprio in quanto evento fondativo della nostra Repubblica e della nostra Costituzione.
Anelli, che scrive un libro di microstorie che hanno come filo conduttore la ricerca della libertà, cade orgogliosamente nello stesso equivoco, sostenendo che la libertà è stata difesa solo da una parte politica, quella comunista, e dai suoi derivati. Non è così, e questo non è il luogo per spiegare più in dettaglio il perché. Rimane il fatto che questo dà al libro un retrogusto di vecchio e di muffa. Che ha un suo pubblico. Ma non è la mia tazza di tè.
Articolo del
16/05/2013 -
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