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I Replacements hanno cambiato la vita di tante persone. Punto. Sembra una frase d’effetto da fascetta editoriale, ma andatevi a leggere il bellissimo libro di Jim Walsh The Replacements: All Over But The Shouting – An Oral History e poi provate a dire il contrario. Le numerose interviste che lo compongono costruiscono l’immagine di un gruppo trattato con genuina venerazione, ed è raro che anche gli appassionati più dediti alla musica si producano in elogi così sperticati dei propri beniamini.
A detta dei “fedeli”, sul palco Paul Westerberg, Bob Stinson, Tommy Stinson e Chris Mars a volte facevano davvero schifo: strumenti non accordati, esecuzioni di brani smozzicate, stato di ubriachezza (per tacere dell’assunzione di altre sostanze) assai sopra ai livelli di guardia. Però, quando erano “in palla”, i quattro si trasformavano nella “migliore rock and roll band del pianeta”. E le loro canzoni, album quali Sorry Ma, Forgot To Take Out The Trash, Stink, Let It Be, sono diventati punti di riferimento nella formazione di centinaia di teenager americani. Soprattutto di quelli un po’ spostati, o di chi si percepiva come un outsider all’interno o ai margini della società, e si sentiva rappresentato da quei testi, o si identificava con quelle idee.
Il film di Gorman Bechard documenta tutto ciò in maniera esaustiva mediante una marea di interviste a decine di estimatori del gruppo, critici musicali (Legs McNeil, il “sommo” Robert Christgau, Jim DeRogatis) e addetti ai lavori tra cui Grant Hart – Dio santo, com’è ridotto! – e Greg Norton degli Hüsker Dü, Scott McCaughey degli Young Fresh Fellows), Steve Albini, e membri di band quali Babes In Toyland, Gaslight Anthem e Decemberists. Insolita la decisione di girare un documentario su un complesso che non contenga interventi in prima persona dei protagonisti, né una nota della musica che li ha fatti entrare nelle grazie dei fan. Il regista la spiega negli extra (nel secondo DVD): quale scelta più adeguata del “fuori campo” per rappresentare un complesso che, nell’unico videoclip realizzato per accompagnare un proprio brano (Bastards Of Young, dall’Lp Tim), opta per l’inquadratura più o meno fissa dell’altoparlante di un impianto stereo mentre un giradischi riproduce il pezzo in questione? Uno sberleffo, quello, rivolto all’industria discografica, che – Bechard lo sottolinea – ben rappresenta lo spirito dei Replacements; come la “sfrontatezza” di rileggere una canzone dei Kiss (Black Diamond, su Let It Be) in barba alla spocchia degli integralisti della musica indie.
In un decennio, gli anni Ottanta, in cui le hit-parade americane erano dominate da artisti come REO Speedwagon, Asia, Bon Jovi e Guns N’ Roses (con ironia, il documentario riporta i dati relativi alle copie vendute dal complesso: cifre risibili, se paragonate a quelle delle summenzionate star), Westerberg e compagni, come numerosi altri gruppi dell’underground statunitense, si sono mossi controcorrente e hanno fatto breccia nel cuore di tante persone con pezzi sanguigni, vibranti, melodici, e a loro modo talvolta romantici e disperati. Color Me Obsessed rende loro omaggio in maniera mirabile.
Articolo del
24/05/2013 -
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