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Non è certo la prima biografia dei Led Zeppelin, ma di sicuro è la prima costruita sulle sole voci degli intervistati. Barney Hoskyns, giornalista di “Mojo” e “Uncut”, costruisce un monumentale ritratto della band di Page, Plant, Jones & Bonham costruendola come un racconto polifonico e corale, in cui estratti dalle decine e decine di interviste effettuate ai diretti interessati e a chi c’era ed era con loro si compongono come tessere di un mosaico caleidoscopico, in grado di mostrare le diverse sfaccettature proprie di personaggi ed episodi.
Hoskyns non trascura nulla: parte dagli esordi negli anni 60 dei futuri e inconsapevoli membri della band che fece tremare il mondo e ne segue le vicissitudini fino al miracoloso comporsi di un quartetto che sapeva di alchimia perfetta e quindi allo scioglimento e alle vicende ad esso seguite per giungere fino ad oggi. C’è ovviamente un bel po’ di storia del rock britannico e mondiale, a partire dal sottobosco degli anni 60, di lusso per Page e Jones, acclamati e ricercati turnisti, di base per Plant e Bonham, che, non così fortunati da essere londinesi, né liverpudliani, né mancuniani, si cuccarono tutta la più amara e difficile gavetta possibile e immaginabile: dura la vita per chi veniva dalla Black Country di Birmingham, che negli anni 60 poteva contare solo su tre band di successo, ovvero Move, Spencer Davis Group e Moody Blues. Poi sarebbe stato il diluvio, dai Black Sabbath ai Duran Duran, ma allora, essere un brummie ti rendeva le cose difficili, musicalmente parlando.
Quella di Hoskyns ha il pregio di non essere un’agiografia, ma nemmeno una biografia tendente allo scandalismo fine a se stesso. Ricca di decine di aneddoti gustosi, ha però il fine di delineare ragioni artistiche e verità umane delle irresistibili ascesa e caduta del Dirigibile. Nessun personaggio è trascurato: e per questo, giustamente, il manager Peter Grant, una delle figure più leggendarie della storia del rock, ha lo stesso rilievo dei quattro musicisti. Ci troverete di tutto, qui dentro: l’avvocato newyorkese noto per i suoi rapporti con le mafie ebraica ed italiana, Steve Weiss; il tour manager spietato, Richard Cole; il malavitoso matto e paranoide, nonché attore shakeasperiano, John Bindon; le tante groupies che ruotavano attorno alla band, da Pamela Des Barres a Lori Mattix a Bebe Buell (ora coniugata con Steven Tyler); dipendenti, collaboratori, fratelli, sorelle, figlie e parenti dei quattro. Ne esce fuori un ritratto potentissimo, affascinante e che si fa leggere con urgenza dei Led Zeppelin, della loro vicenda musicale e umana, del loro tentativo di formare una famiglia che li tenesse al riparo dal music business da loro stessi implementato e che alla fine li ha strozzati, facendoli precipitare nelle tenebre più nere (in modi diversi, Page e Bonham) o cercare scampo nella luce (ognuno nella sua maniera, Plant e Jones).
C’è un unico motivo di rammarico con questo libro: dopo 479 pagine, finisce. E ne vorrete ancora.
Articolo del
04/07/2013 -
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