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Secondo libro sui Baustelle, questo di Andrea Bernardini, che rispetto a un’opera importante come il primo, “I Baustelle mistici dell'Occidente” di Paolo Jachia e Fabio Pilla, cambia prospettiva. Se là avevamo un’imponente ricerca anche lessicale sulle influenze letterarie presenti nei testi di Bianconi, condotta seguendo la linea rossa della ricerca della presenza/assenza del divino in essi (impostazione stimolante quanto a tratti discutibile e difatti discussa), qua Bernardini si propone di analizzare parole e musica dei Baustelle, inquadrandole nella prospettiva storica dell’evoluzione della canzone italiana, seppure in una visione veloce e generale, come si capisce da subito, considerando le 104 pagine del volumetto (a cui sono da aggiungere 16 di foto). Bernardini parte benissimo, dedicando la prima parte del libro alla forma canzone in sé. Buone le prime 25 pagine che, velocemente e agilmente, tracciano una ministoria dell’oggetto “canzone” dal Medioevo ad oggi. Il quarto capitolo, che offre quattro brevi esempi di lettura di una canzone (Nirvana, Cream, Zappa e Gino Paoli) risulta invece un po’ deludente, perché quello da cui bisogna partire, ovvero la specificità di questa forma musicale, ovvero l’unione di musica e parole in un tutt’uno che non la fa appartenere né alla musica strumentale né alla poesia e crea un cortocircuito virtuoso di reverberi reciproci tra queste due componenti, rimane un po’ sullo sfondo. Altra critica: si è parlato finora soprattutto (certo, non solo) di come la canzone si sia strutturata nei secoli in Italia, e poi si propongono tre brevi analisi di canzoni non italiane. Ok, i Baustelle sono a metà tra il rock e la tradizione italiana: ma allora perché non si è trattato della specificità della canzone rock?
Inizia quindi la seconda parte, “Le Canzoni dei Baustelle (2000-2013)”: dopo un breve biografia della band, ecco prima un florilegio di interessanti dichiarazioni dei toscani sulla loro musica e un altro di valutazioni della critica su ogni album del trio. La parte veramente interessante del libro è racchiusa tra le pagine 49 e 61, dove Bernardini affastella brevi spunti sull’utilizzo della musica e delle parole fatto dai Baustelle: come lo scontro tra testi duri e materiali musicali facili, orecchiabili, debitrici a tutta la tradizione, sia rock, sia italiana; l’importanza degli arrangiamenti come elementi devianti dalla tradizione suddetta; la complementarietà delle voci di Bianconi e Bastreghi; l’extratestualità dei testi e la ricerca di una comunicazione a più livelli. Seguono conclusioni, un breve capitolo dedicato a “Fantasma”, due brevi interviste a Gianluca Moro (fotografo della band) e a Enrico Gabrielli (arrangiatore di “Fantasma”, ex Afterhours, attuale membro dei Calibro 35 e Mariposa, che dice cose davvero molto interessanti e che sarebbero state meritevoli di approfondimenti critici) e ben 16, dico 16, pagine di testi commentati. Uno potrebbe gioire, sui testi commentati. Invece no. I testi vengono riportati pari pari, come ai tempi in cui Internet non esisteva e fioriva una imponente produzione di libri musicali ad essi dedicati; i commenti non mettono in atto nessuno degli spunti presenti nel resto del libro e si limitano a ribadire quanto espresso nel testo, ad aggiungere una citazione colta e raggiungono il livello delle chiacchiere tra amici. Deludente. Il saggio di Bernardini non soddisfa, dunque. Proprio in virtù delle buone premesse da cui muove, lascia l’amaro in bocca. A ogni modo, vista la presenza di qualche spunto interessante e la scarsità di contributi critici sui Baustelle, non mi sento di sconsigliarne l’acquisto.
Articolo del
05/09/2013 -
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