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In Alta Fedeltà di Nick Horby, il protagonista Rob Fleming si chiedeva, “Cosa è venuto prima, la musica o la sofferenza? Ascoltavo la musica perché soffrivo? O soffrivo perché ascoltavo la musica? Sono tutti quei dischi che ci fanno diventare malinconici?”. L’idea di una compenetrazione di vita e musica che ritroviamo nella prefazione del nuovo libro di Maurizio Blatto, My Tunes — Come salvare il mondo, una canzone alla volta: “Dov’ero? In mezzo a una canzone, come sempre. Perché il guaio è un po’ questo, perdo spesso il bilanciamento. Chi ha la meglio? Chi è dominante? La mia vita o la musica stessa? Quello che mi succede aderisce in modo buffo e imprevedibile a tre minuti di rock’n’roll scelto con cura o è il contrario? Spesso giungo alla conclusione che siano le canzoni stesse a “giustificare” il mio quotidiano. Come se in modo nemmeno troppo inconsapevole le mie azioni fossero tutte dirette a tuffarsi tra le braccia di qualche copertina già infilata nella mia libreria a muro. Divento quello che ascolto. I rimandi e le affinità mi appaiono enormi, illuminanti.”. Testo piacevolissimo, My Tunes, che raccoglie gli articoli del giornalista (spesso rivisitati) pubblicati dal 2006 nell’omonima rubrica del mensile “Rumore”. Si parte sempre da una canzone, che per lo più offre lo spunto per parlare di altro (aneddoti, ricordi, esperienze legate al presente o al passato) anche se talvolta le digressioni lasciano il posto ad analisi più approfondite del pezzo scelto. E tanto di cappello alla selezione proposta: Air, Belle and Sebastian, Big Black, Big Star, Johnny Cash, Cramps, Donna Summer, Echo & The Bunnymen, Gun Club, Joy Division, Kinks, Low, Pavement, PIL, Jonathan Richman & The Modern Lovers, Skiantos, Townes Van Zandt, Piero Umiliani sono solo alcuni degli artisti trattati. Chi apprezza lo stile di Blatto sa già cosa lo aspetta: un mix irresistibile di passaggi umoristici e vicende fantozziane, che però non trascura momenti più riflessivi in cui la sua ironia spiccata e un po’ dissacrante viene tenuta a freno per dare spazio a osservazioni anche assai toccanti. Basti citare le pagine dedicate a I See A Darkness di Bonnie “Prince” Billy, in equilibrio fra commedia — il concerto disastroso di Will Oldham davanti a quattro gatti, dopo aver gustato un “classico crostone lardo e funghi, dall’ameno sapore di scotch da pacchi” (“la prossima volta il crostone non lo prendo più, mi sento un dolmen sul fegato”) — e considerazioni lucidissime sul senso della canzone; o quelle che hanno come oggetto River Man di Nick Drake, venate di tenera malinconia.
In un’epoca, la nostra, in cui “grazie” al web l’ascolto della musica è diventata fruizione di un flusso indistinto di brani, figure senza spocchia e spinte da contagioso e genuino entusiasmo come Blatto ci sembrano sempre più necessarie; e invidiabile ci appare il suo esaminare con cura le canzoni, indugiarci su, dissezionarle, appropriarsene, farle divenire una seconda pelle e “viverci dentro”: caloroso tributo a una passione intensa, incontenibile (talvolta finanche insana, nei suoi risvolti più ossessivi) che accomuna tanti di noi. Ciliegina sulla torta il sottotitolo, sigillo di “musicofilia” dai gustosi echi “bompiani” (Bomp! Saving The World One Record At A Time).
Articolo del
23/06/2014 -
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