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Sarò franco: non credevo che questa 'Biografia a più voci di Enzo Jannacci' fosse ben fatta. Troppe amare delusioni, in passato, rispetto ad analoghi libri su altri capisaldi della musica italiana non mi permettevano troppe illusioni. Anche perché scrivere un libro di musica in Italia paga poco, molto poco (sia in termini di compensi delle case editrici, sia in termini di risposta di pubblico), e quindi la dose d'amore necessaria a compiere questi veri e propri labours of love. Paté, che Jannacci l'ha conosciuto intimamente, questa dose d'amore ce l'ha, e confezione un libro che tratta a fondo il personaggio dell'artista Jannacci.
Diviso in capitoli dedicati ognuno a un lato del prisma Jannacci (“Le canzonette”, “Gli esordi”, “Ricordi di cabaret”, “La comicità”, “Dove vanno le canzoni”), 'Peccato l'argomento' (titolo che viene da un tormentone autoironico di Jannacci stesso) va abbondantemente oltre le aspettative e si rivela libro ottimo. Se all'inizio Paté offre egli stesso notizie e inquadramenti, anche critici e parecchio interessanti, progressivamente cede la parola a chi l'ha conosciuto e ci ha lavorato, dando vita a un ritratto a tutto tondo che ha l'unico difetto di lasciare al lettore la fatica di ricomporre mentalmente i pezzi del puzzle. Ma, come detto, l'impostazione scelta da Paté non è quella cronologica, ma quella tematica: e quindi costruire una “storia orale” del personaggio, come si usa all'estero con ottimi risultati (si vedano i lavori di Barney Hoskins sui Led Zeppelin o di John Robb sulla scena di Manchester tra 1977 e 1996), non risultava pertinente allo scopo. Poco male. Si scoprono evidenze importanti: l'inscindibilità dell'esperienza musicale da quella cabarettistica, che andrà considerata in qualunque prossimo lavoro critico che sia serio; la contiguità, non solo occasionale e limitata nel tempo, del modo di comporre e creare di Jannacci a quello di Dario Fo, perfino nel modo di parlare quotidiano, da personaggio di 'Mistero buffo' (per una sorta di dislalia non si sa quanto in realtà voluta, Jannacci spesso parlava in modo incomprensibile a chi lo ascoltava); ma anche a Bianciardi, con quella critica radicale alla società dei consumi; e a Calvino, data la tematica, centrale, dell'uomo a metà, che ricorda molto 'Il visconte dimezzato' dello scrittore ligure, così come i “disgraziati” jannacceschi (jannacciani?) ricordano molto da vicino Marcovaldo. A proposito dei disgraziati e della definizione di “schizo” data ad essi e al loro autore da Gianfranco Manfredi, uno dei più lucidi analisti della canzone italiana: Jannacci non era d'accordo con questa definizione. E rivelava che i personaggi da lui descritti, in brani fondamentali come El purtava i scarp de tennis, Ti te se no, Bobo Merenda, erano ispirati ai barboni che popolavano Milano 40 anni prima, ai tempi della Prima guerra mondiale. Un particolare non da poco: lo sguardo sul passato permetteva a Jannacci di cogliere meglio dinamiche del presente, distanziandolo, in modo da poterlo osservare in modo quasi scientifico, anamnestico.
Completato da una prefazione di Paolo Villaggio, un approfondimento con il giornale di strada intitolato al più famoso dei suoi barboni, una mappa della Milano di Jannacci, 'Peccato l'argomento' è un libro da non perdere per gli amanti della musica italiana d'autore. Senz'altro una delle migliori uscite dell'anno, se non la migliore.
Articolo del
10/10/2014 -
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