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Che ami il rock italiano, Simone Marcuzzi, è indubbio: un primo romanzo, uscito per Mondadori nel 2010, che nel titolo citava i Baustelle di Charlie fa Surf; il secondo, uscito da un mesetto per Fandango che ruba il titolo a una canzone degli Afterhours, tratta da 'I milanesi ammazzano il sabato'. Sarà perché il rock italiano, quello vero, ha descritto benissimo la deriva della nostra martoriata nazione. Così come, bisogna dire, Marcuzzi, dall’osservatorio appartato eppure centrale del suo Nordest che produce, spiega meglio di tanti altri lo stato delle cose.
'Dove si va da qui' è romanzo che narra l’Italia di oggi su due piani: quello della ricaduta dei grandi eventi nel quotidiano delle persone e quello della difficoltà delle relazioni affettive odierne. Siamo nel 2008: in provincia di Pordenone convivono Nadia e Gabriele, insieme ormai da 12 anni. Lei veterinaria in una clinica privata, lui manager della Technopower, azienda metalmeccanica per cui ha scelto di lavorare, dopo un’esperienza in Ungheria, nel natio Friuli, rifiutando un allettante incarico a Shangai. Errore: dopo anni di crescita, arriva la crisi che abbatte ogni settore e Gabriele, suo malgrado, è costretto a occuparsi dei licenziamenti, mansione che non gli toccherebbe. La crisi tocca anche la clinica di Nadia, che vede messo in forse il suo futuro professionale. Ma la crisi arriva soprattutto nell’affetto che li lega, ormai abitudinario, con tentazioni al di fuori della coppia per entrambi. E crisi sarà, in un modo o nell’altro, per il matrimonio della sorella di Gabriele; per i genitori di Nadia, che intendono ritornare a vivere in Puglia; e per quelli di Gabriele, costretti dai nuovi legami dei figli, dagli anni e dall’età, a ridefinirsi in qualche modo.
“Crisi” è insomma parola chiave del libro. E che Marcuzzi scelga la strada suggerita dalla radice della parola, che in greco significa “cambiamento”, per riannodare tutti i fili spezzati o lisi della sua storia, non inficia la bontà della storia. La volontà di cambiare, da adulti, la propria vita dà luogo a un lieto fine che non è consolatorio, seppur carico di promesse per il futuro. Diverse situazioni importanti rimangono in sospeso, attaccate a una parola data, ma non scritta. Né la storia d’amore, che occupa ovviamente una parte importante del romanzo, diviene mai un rifugio nella melassa del sentimentalismo borghese oggi tanto di moda in una cultura di regime che deve solo non far pensare. Al contrario, è l’escamotage attraverso cui viene ritratto un mondo che crolla, quello edificato dal neoliberismo, e che ha la pretesa di riedificarsi sulle stesse fondamenta.
'Dove si va da qui', senza punto di domanda, è titolo che descrive perfettamente la tendenza all’inazione per smarrimento (come è evidente nell’evoluzione finale del superiore di Gabriele, il dottor Gori), senza neppure la forza di farsi una domanda che implicherebbe lo sforzo di cercare una risposta, una direzione. Con scrittura lucida e tesa, Marcuzzi ritrae il fallimento di un mondo in cui, thatcherianamente, non esiste la società, ma solo individui che lottano. In cui la direzione pare essere solo negli obbiettivi produttivi. Che falliscono tutti: dalle previsioni di crescita, alle flange difettose per la Bosch, alla pianificazione familiare. La direzione da prendere per uscire da un mondo fallimentare in cui al centro stanno produzione e prodotto, ancora e sempre, sta in un senso di comunità, solidarietà, progettualità che grazie al cielo evita brillantemente ogni banalità terzomondista, ma che alla fine è tutto racchiuso nel modo in cui la famiglia Imbrea accoglie la notizia del suo licenziamento collettivo dalla Technopower. Quale? Beh, dovete leggere il libro.
Articolo del
27/10/2014 -
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