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Una delle convinzioni più sentite tra i "non addetti ai lavori", è quella che skinhead, naziskin, moicani e chissà quale altra specie derivata , siano la stessa cosa. Non è certo questo un problema di vitale importanza, ne per gli analisti di tendenze sociali (quelle più comuni) ne per il cosiddetto uomo della strada che tende a semplificarsi la vita senza dover ogni volta "studiare" i fenomeni govanili nella loro complessità. E' successo così che i fatti di cronaca registrati in ogni parte del mondo e che hanno visto come protagonisti giovani identificati come punk, naziskin, teste rasate e altro, sono stati omologati allo stesso modo e che di conseguenza la mancanza di capelli e lo sguardo truce in un giovane tra i quindici e i trent'anni sia corrisposto all'identikit di una persona certamente pericolosa. Il libro di Riccardo Pedrini, ottimo nella elaborazione e sostanziosissimo nei contenuti, interviene a sciogliere (per chi ne fosse interessato) una lunga serie di interrogativi sulla storia e sulle caratteristiche del fenomeno "skinhead". Un compito che "rende giustizia di tanti falsi e comodi luoghi comuni su un fenomeno complesso e ricco di implicazioni sociali". Di fronte ad un argomento così specifico, quale può essere considerato soprattutto in Italia il movimento "skinhead", fa molto piacere trovare una pubblicazione che esaurisce sotto ogni aspetto gli elementi fondamentali e le curiosità principali legate al fenomeno. Di chiara origine anglosassone, la cultura skinhead fa risalire le sue origini alla fine degli anni sessanta per poi esplodere in tutta Europa circa dieci anni dopo con lo Skinhead revival. "Lo skinhead è lo zoticone, il monello di strada, il Giovane Selvaggio che ritroviamo nelle pagine di Charles Dickens ed in migliaia di rapporti ufficiali sulla delinquenza giovanile" - secondo Valerio Marchi (autore della prefazione al libro) - " la principale peculiarità dello skinhead è un'inesauribile carica di antagonismo non soltanto nei confronti delle autorità, delle élite di potere, ma dell'intero sistema di valori e regole della classe dirigente". Skinhead emerge come una tesi ben articolata, anche se il racconto personale dell'autore sgombra il campo da ogni tentazione didascalica caratteristica della maggior parte delle pubblicazioni recenti sulla cosiddetta cultura giovanile. Il libro è pieno di citazioni e di riferimenti che sfociano in una nutrita bibliografia (comprese le fanzine pubblicate in tutto il mondo) e nell'elencazione (ormai immancabile) dei siti Internet più interessanti che il Web offre sull'argomento. La cosa che, infine, più mi ha sorpreso è l'attenzione dell'autore nell'elencazione di una Discografia ragionata: lo skinhead ha quindi delle muse musicali tutelari che spaziano dallo Ska al Reggae, fino al Punk per comprendere anche frammenti di Soul. La sensazione è che, laddove siano elaborati con tanta dedizione, i libri monotematici sui fenomeni legati alle sopravvissute tendenze giovanili, fanno un gran bene alla letteratura musicale e permettono di capirci di più anche a coloro che conoscono il fenomeno per grandi linee.
Articolo del
30/01/2002 -
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