C’era una volta la sezione horror gotica nelle librerie, Lovecraft, Poe, Stephen King e Anne Rice. Poi è arrivato Twilight e con la saga dei vampiri che luccicano al sole, poco a poco ma inesorabilmente le Cronache dei Vampiri sono sparite dagli scaffali, forse un paio di vecchie edizioni di Intervista con il Vampiro perché di quello abbiamo sempre il film con Brad Pitt e Tom Cruise, ma anche quello ora lo danno ogni tanto sui canali più intellettuali del digitale, a notte fonda, di pomeriggio. Undici anni fa la signora dei vampiri aveva deciso di chiudere una saga iniziata nel 1976 con l’Intervista, portato sullo schermo nel 1994 da Neil Jordan: quindi so per certo che dal 1995 per me i vampiri sono sempre stati i suoi, quelle creature piene di bellezza e filosofia, libri che raccontano storie ma anche storia e luoghi da sognare; la magica New Orleans di Lestat e Louis è ben lontana dalla piovosa Forks (The Twilight Saga, Stephenie Meyer). Con la fine delle Cronache dei Vampiri Anne Rice aveva chiuso, allora si diceva per sempre, un capitolo della sua vita, i lavori che sono seguiti non hanno mai avuto lo stesso successo, ne lo stesso impatto. Allora perché tornare al suo Lestat? Semplice, l’ha detto in un’intervista: perché con tutti i libri che ci sono in giro adesso e i Cullen che sbirluccicano ha voluto far vedere come si scrive veramente di vampiri. In un libro che non è solo un libro ma l’equivalente di Avengers: Age of Ultron per i fan della Marvel, la signora Rice ha messo tutta l’anima e il corpo di tutti i suoi vampiri e di più: nuovi personaggi, segreti e rivelazioni in un’opera a capitoli scritti da molteplici punti di vista riporta in vita un mondo intero. La differenza tra Anne Rice e le varie Stephenie Meyer non sta solo nell’abissale e ovvia qualità della scrittura, della storia, della profondità dei personaggi. Quello che ho capito riprendendo in mano “qualcosa” che non avevo letto dal 2004 è che Lestat non è un personaggio, Lestat è parte della scrittrice, un’entità che lei possiede, sempre, dentro e parte di lei inseparabile. Solo quando Anne Rice non sarà più allora Lestat e tutti i suoi vampiri smetteranno di vivere, per adesso sono tanto splendidi quanto reali. Quasi 500 pagine di ritorno al passato per chi ha sempre amato questa saga, ma anche un libro nuovo per chiunque si voglia avvicinare, diretto forse ai figli del millennio che non hanno avuto la possibilità di sognare come noi vecchietti delle generazioni post-hippie degli anni 70, dei figli degli 80. Non solo soprannaturale ma tanta filosofia accessibile, visioni di luoghi lontani e magici nelle lunghe descrizioni che hanno sempre caratterizzato la scrittura della Rice; le parole scivolano davanti aglio occhi senza fatica, parole belle nel senso più semplice della parola, una in fila all’altra come se le 500 pagine fossero una lunga canzone, una poesia. Questa è storia antica, la penna della Rice ha sempre dato frutti esotici e stupendi, in questo undicesimo libro delle cronache la filosofia non si limita più al passato, al “Giardino Selvaggio”, religione e morale lasciano un po’ di posto a considerazioni sulla modernità, sulla scienza e sulla società moderna, quella degli iPhone, di internet e della conoscenza aperta a tutti. Qualche punzecchiata ai “nuovi gotici”: di cose strane (anche per un libro sul soprannaturale) ce ne sono, al limite del ridicolo? Prese forse da qualche altra saga popolare? Si, ma si ha la netta impressione che la Signora lo abbia fatto per dire una e una cosa sola: “è ridicolo, ma anche il ridicolo lo scrivo meglio io”. Odiatela, amatela, Anne Rice ha una certa età, una certa esperienza e non deve decisamente più scrivere per vivere, se c’è una persona che si può permettere di evitare la falsa modestia nessuno più di lei.
Articolo del
20/11/2014 -
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