Terzo romanzo di Simone Marcuzzi, “Ventiquattro secondi” vive fin dalla copertina una strana e apparente contraddizione? Come fa questa ad essere un'autobiografia se l'autore è diverso dal protagonista? In realtà Vittoriano Cicuttini è un personaggio di fantasia, che può trarre in inganno i digiuni di basket (con me lo ha fatto, lo confesso), anche grazie al fatto che nel romanzo tutto il contorno alle vicende (tra 1962 e 2012) dell'immaginario cestista friulano e dei suoi cari rispetta rigorosamente la realtà storica e geografica. Non è però un romanzo storico, così come non si tratta di un romanzo sportivo in senso stretto,. Qui lo sport è metafora assoluta di sacrificio, dedizione, volontà, altruismo, qualità fondamentali nella crescita di un essere umano che non voglia rimanere eternamente un capriccioso bambino. L'oggetto vero del romanzo è appunto il diventare uomini, il raggiungere una maturità interiore che permetta di far fronte ai più terribili eventi della vita, e il riuscire a farlo cambiando se stessi, migliorandosi, scolpendosi, quasi, per riuscire a cavar fuori dal marmo grezzo quell'idea di sé che esiste, è oggettiva, ma molti di noi non riescono a tradurre in atto. Il “come si diventa ciò che si è” di nietzschiana memoria, insomma, passa attraverso uno scavo e una fatica quotidiani, nelle piccole e grandi cose di ogni giorno. Per questo, oltre alla passione personale, Marcuzzi sceglie di parlare di basket: uno sport di squadra che esige unità di intenti con i compagni, ma permette in modo particolare l'emergere in modo determinante del singolo. L'immaginaria vita di Vittoriano Cicuttini, primo italiano a essere chiamato alla corte della NBA, dopo un'infanzia difficile in quel di Ipplis, paesino friulano della vallata del Natisone, vicino a Cividale, è raccontata da Marcuzzi in modo magistrale, tanto da riuscire a materializzare paure o a rispecchiare problemi reali della vita dei lettori con un effetto che definirei catartico, alla maniera di Aristotele. Si ricorderà che il filosofo greco attribuiva alla tragedia una tale capacità di far vivere profondamente delle emozioni allo spettatore. E in effetti, pur essendo un uomo relativamente comune, al di là della sua fortuna sportiva e conseguentemente economica, il personaggio di Vittoriano Cicuttini è definibile come tragico, per l'irruzione violenta che la Storia e le storie comuni ha nella sua vita. Vittoriano riesce a resistere, a resettarsi, a scoprire parti di sé che non avrebbe immaginato esistere. Le crisi personali e familiari che deve affrontare, e che quindi pertengono alla sfera del dramma borghese, lo rendono un perfetto anello di congiunzione tra personaggio tragico (tanto perché nella sua vita, ripeto, fa irruzione la Storia , quanto perché rappresenta potenzialmente ognuno di noi) e drammatico. Quello che ne risulta è quindi un personaggio anomalo: certamente un uomo più volte in crisi, ma mai con l'immaturità che contraddistingue la stragrande maggioranza dei personaggi della letteratura di questo inizio di XXII secolo (e che riflette quella delle persone reali che lo popolano); è certamente un uomo alla ricerca di se stesso e del senso della vita, le cui certezze vengono meno più volte (e in questo è un tipico personaggio novecentesco); ma è un uomo che alla fine quelle certezze le trova, che afferra il senso della vita, racchiuso nel bellissimo capitolo finale, pur con la consapevolezza che nuovi eventi metteranno in discussione tutto. Ma anche con la sicurezza che, nella vita, “ogni partita è l'ultima”. Romanzo estremamente emozionante e commovente (più volte sono stato tentato dalle lacrime e non sono esattamente un tenerone), senz'altro il capolavoro di Marcuzzi, finora, esce con decisione, proprio per il pervenire del protagonista a delle certezze, dall'ambito dell'imperante post-modernismo ed esprime forse la rinnovata voglia di certezze su cui edificare un mondo nuovo che si avverte da qualche tempo nella società reale. Da leggere assolutamente.
Articolo del
15/07/2016 -
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