Bruce Springsteen: lo si ami o non lo si sopporti (i detrattori del Boss sono più di quanti si pensi), innegabilmente un pezzo importante di storia del rock. E forse anche di storia americana. Chiunque sia appassionato di una delle due è quindi potenzialmente interessato a questa biografia della giornalista Usa Gillian G. Gaar, in passato autrice anche di volumi su Elvis, Beatles, Doors, Nirvana, Red Hot Chili Pepper, Green Day, oltre che di una storia delle donne nel rock. In questa occasione il fascino dell’opera è equamente diviso tra parte scritta, che tratta della vita del Boss, offre schede sui suoi dischi, brevi approfondimenti su aspetti particolari, e parte fotografica, senz’altro importante per quantità e qualità.
La biografia in sé è molto dettagliata ed ben più di una chiave introduttiva a Springsteen, soffermandosi in modo attento sulle varie fasi della sua vita e della sua carriera. Non si può dire però che Gaar faccia molto per farci sobbalzare sulla sedia, leggendo di mirabolanti avventure dell’autore di Born To Run. Bisogna dire anche che non è tutta colpa sua: la vita di Springsteen non è certo quella dei Led Zeppelin o di Jimi Hendrix, ma quella di un bravo ragazzo di provincia senza tanti grilli per la testa e un solo immenso sogno da realizzare, quello di suonare rock’n’roll. Piccoli aneddoti sparsi qua e là, come quello sulla nascita del soprannome “Boss” (e che pare Springsteen odi), dovuto al fatto che era lui a ricevere il compenso dai gestori dei locali e a spartirlo con tutta la band, non soddisfano certo chi è in cerca di emozioni rock. Ma tutto sommato, la prima parte del volume, almeno fino alla consacrazione di 'Born In The Usa', è piuttosto piacevole proprio perché animata dall’inesausta brama di successo di Springsteen, ma alle sue condizioni e senza cedere un millimetro sulle scelte artistiche. Certo, sarebbe piaciuto sapere qualcosa di più sui rapporti con la scena artistica tanto del New Jersey quanto di New York rispetto a un banale “suona con lui/lei sul palco”, “gli/le regala la sua canzone tal dei tali da interpretare”, “apprezza tizio o tizia”. Oppure qualche gustoso aneddoto degli inizi, come quella volta che da semplice fan di Janis Joplin dovette difendersi da un assalto sessuale della cantante texana. Ma non si può avere tutto. Almeno non da Gillian G. Gaar.
Il volume diventa parecchio tristanzuolo nella parte dedicata all’ultimo scorcio di carriera di Springsteen, a causa dei lunghi elenchi di apparizioni televisive, concerti per beneficenza, comparsate per buone cause, ecc. ecc. Anche qui, la colpa dell’autrice è solo parziale: i fatti sono quelli, e lo Springsteen assurto al ruolo di Venerabile Maestro negli Stati Uniti di oggidì è proprio quello che Gaar ci racconta. Ovvero un anziano signore, inconsapevolmente istituzionalizzato, diventato icona buona per il fagocitante sistema mediatico Usa e che, probabilmente, ha perso il contatto con la classe operaia di cui è figlio, come dimostra il recente (e non incluso nel volume) supporto per Hillary Clinton, amica di banche e potentati economici. Almeno Neil Young si è speso per Bernie Sanders. Ma si sa, quella del canadese è sempre altra classe e altra lucidità.
Bilancio complessivo: una buona introduzione al mondo di Springsteen, consigliata a chi si avvicina con un certo interesse. Sconsigliato ai fan di lunga data che ne sanno un più del diavolo. E centomila più di Gaar.
Articolo del
13/03/2017 -
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