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L’autrice di Brit, la trentenne Monica Melissano, scrive su alcune riviste e collabora con Radio Città del Capo, a Bologna. Il volume è di 221 pagine e costa 18.000 lire. Brit è un libro ancora più interessante di quanto il sottotitolo “La nuova scena musicale inglese” potrebbe far pensare. La seconda parte del volume ospita le biografie dei gruppi considerati più significativi del momento, mentre le prime sessanta pagine costituiscono un piccolo saggio sulla nuova beat generation e la cultura del rock nell’Inghilterra dell’ultimo decennio. Pensavate di conoscere tutto su acid house, new wave of the new wave, neo mod e chemical beats? Credevate che la musica inglese non potesse avere segreti per voi? Probabilmente vi siete sbagliati. E già, perché l’immagine che arriva in Italia della scena musicale d’oltremanica è assolutamente parziale e nella maggior parte dei casi distorta. Pensate per esempio a un fatto di cronaca che da noi ha assunto una rilevanza esagerata, le schermaglie da tabloid tra Blur e Oasis. Bhè, il rock inglese non è questo. Perché in nessun paese al mondo come in Inghilterra la cultura musicale è permeata di rock, e il rock è cultura. Che cos’è innanzi tutto la new beat generation? E’ “[…] una nuova generazione di gruppi che vogliono scrivere grandi canzoni, che vogliono che un concerto sia un’esperienza che innalza lo spirito e riaccende una miccia”, secondo Paul Weller, figura di riferimento per tutti i giovani musicisti inglesi. La prima osservazione di Monica Melissano riguarda la supposta esistenza di generi musicali e la tendenza a etichettare tipica della critica. I nuovi gruppi inglesi rifiutano questa impostazione a favore di un nuova concezione di musica, abbattere le regole che vogliono rigidamente diviso il processo compositivo. La prima conseguenza visibile è l’organizzazione dei grandi raduni rock-dance dell’inizio anni ’90. I primi a muoversi in questo senso sono gli Stone Roses con il concerto-rave di Spike Island, seguiti poi con risultati ancora più eclatanti dagli Oasis a Knebworth. L’esempio è seguito dai club di Londra, Heavenly Social e The Metal Box in testa a tutti. Dalla nuova visione globale nascono i principali riferimenti della cultura rock-indie-tecno-soul del decennio. Basti citare Irvine Welsh e il suo Trainspotting. I nomi legati al nuovo fenomeno sono quelli di Underworld, Primal Scream, Prodigy, Daft Punk, Orb o ancora Pulp, Massive Attack, Lamb e altri ancora. Ecco definita la new beat generation, espressione di energia, libertà, anarchia in contrapposizione all’Inghilterra di stampo vittoriano rappresentata da James Ivory nei suoi lagrimosi film. Ma la nuova generazione beat non si ferma a questo. Secondo l’autrice non è un’esagerazione affermare i nuovi gruppi, eredi del soulcialism anni ’80 di Fine Yonug Cannibals, Communards e Style Council abbiano contribuito all’affermazione dei labour al governo. Tra i sostenitori più attivi di Tony Blair, Alan McGee, discografico degli Oasis, e Jarvis Cocker, voce dei Pulp. Tony Blair ringrazia a più riprese stabilendo un legame solido tra istituzioni e scena musicale. Ma i musicisti non si accontentano neppure di questo. Fra coloro che organizzano benefit allo scopo di aiutare i senza lavoro ci sono Beth Orton, Ocean Color Scene, Billy Bragg, Gene, Primal Scream e, manco a dirlo, Paul Weller. Ma non si pensi a un appiattimento degli artisti sulle scelte del governo dei laburisti. Perché proprio da coloro che sono stati i suoi principali sostenitori, arrivano a Tony Blair le critiche più aspre alla politica economica e sociale. In modo clamoroso e polemico dai Chumbawamba, in modo più diplomatico da Embrace, Damon Albarn, Chemical Brothers. Un caso a sé è quello che vede gli Asian Dub Foundation intraprendere Free Satpal Ram, una campagna contro un episodio di discriminazione razziale in campo giudiziario. Così tra azioni, manifestazioni e dichiarazioni, gli eroi della nuova generazione dimostrano di essere consapevoli del proprio momento storico come non accadeva a dei musicisti da un paio di decenni. Ma come decide di comunicare la nuova generazione beat, qual è il linguaggio che usa, qual è l’atteggiamento che adotta nei confronti del suo pubblico? Monica Melissano non ha dubbi sul fatto che in questo senso il focus viene spostato da una dimensione sociale a una individuale. In ogni caso, quello che distingue i nuovi rocker è un atteggiamento definito “new seriousness”. Una seriosità che si traduce immediatamente nel look. Ecco che i Blur adottano come divisa la polo Fred Perry e Jarvis Cocker semplici giacchete di velluto. Niente a che vedere con la moda del travestitismo, boa di struzzo e il rock da passerella. Ma l’abito non fa il rocker e la seriosità dei new beater non è solo una questione di immagine. Succede così che sul Times del 19 maggio 1995, The Holy Bible dei Manic Street Preachers e The Bends dei Radiohead vendono indicati insieme a In Utero dei Nirvana, “gli album più deprimenti degli anni Novanta”. I gruppi sembrano avere appreso la lezione di Cure e Smiths, convinti come sono che la propria musica debba passare per una presa di possesso della componente emozionale. Fare musica per pensare, quindi, oppure esprimere sentimenti con cui rapportarsi. E se le conseguenze del pop non saranno poi così positive, pazienza. Basterà coniare il termine “emopop” ovvero emotional pop, secondo le indicazioni di Isabel Monteiro dei Drugstore. Non sarà destinato a diventare una testo sacro, snello e facile com’è. Ma Brit contiene spunti di riflessione preziosi per chi cerca di capire il complesso mondo del rock di questi anni. Chi avrà più il coraggio, dopo averlo letto, di dire: “It’s only rock ‘n’ roll but I like it”?
Articolo del
30/01/2002 -
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