Fabio Zuffanti è sicuramente il nome più importante del neoprog italiano: la sua attività in proprio o con progetti come Finisterre, La Maschera Di Cera, Höstsonaten, La curva di Lesmo, L’ombra della sera e tanti altri ha fruttato ormai quasi una cinquantina di album. Un musicista poliedrico, non monodirezionale, capace di spaziare dal pop d’autore all’elettronica più fredda e ambientale, ai confini con la musica concreta, che rivela un’apertura mentale e una talentuosità che si riproduce anche nella sua parallela opera di giornalista (per riviste di settore) e scrittore, che spazia dai pamphlet (“O casta diva”), alla saggistica musicale di notevole livello (“Prog Rock”, in coppia con Riccardo Storti), alla poesia, come rivela l’ultima nata tra le opere di Zuffanti, al silloge “Il giorno sottile” che raduna poesie sparse scritte tra il 1992 e il 2015, amorevolmente riviste e limate nel tempo, come ci informa nell’introduzione l’autore.
Zuffanti non le chiama nemmeno poesie, ma “visioni”, in cui rivede “varie fasi della parte più imtima del [proprio] vissuto”. La forma è quella della lirica contemporanea, del tutto slegata dalle forme metriche della tradizione. Il paesaggio dell’anima che vi traluce spesso è, coerentemente con quanto ci si aspetta da un musicista prog, simile alla particolare metafisica di certe copertine di dischi progressive, dal quelle dei Genesis era Gabriel, a quelle firmate Hipgnosis per i Pink Floyd, alla copertina di “Hemispheres” dei Rush: “Cubi, scale, bicchieri e cavalli / io sono questo e / null’altro / esiste”.
Del tutto differente dalla vulcanicità che Zuffanti esprime nelle sue poliedriche avventure musicali è il sentimento predominante: una freddezza data da una distanza col mondo che non si riesce a superare, un’ansia di comunicazione frustrata, un gelo cristallino ed oscuro al tempo stesso. Ciò si riflette sulla musicalità delle composizioni, che è frustrata, volutamente assente e aritmica, che spesso dà luogo a finali in cui la misura dei versi decresce progressivamente quasi a indicare uno spegnersi o comunque un affievolirsi del sentimento vitale. Curiosamente, il disco di Zuffanti che forse assomiglia di più a questa silloge non è nemmeno riportato nella discografia di Wikipedia, ma si trova su Bandcamp. Si intitola “Il giorno sottile” come la raccolta qui in oggetto e si conclude con un brano dedicato ad Andreij Tarkovskij, dedicatario anche di una “visione”: vi domina un’elettronica, fredda, oscura, minacciosa, con significativi inserti di musica concreta. Una coincidenza significativa. Un libro scostante, in cui dalle difficoltà della vita non riesce a fiorire un canto né risolutivo né tantomeno consolatorio.
Articolo del
16/10/2017 -
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