Si possono leggere 440 pagine in pochi giorni, tutto d’un fiato? Sì, se si legge l’autobiografia di Johnny Marr, uno che a 24 anni non ancora compiuti (ora dello scioglimento degli Smiths da lui fondati), aveva già scritto la storia del rock.
Ma non solo: si tratta di uno dei chitarristi rock più originali e innovativi, anche se dallo stile poco appariscente, frutto della sua innata predilezione a essere come l’ala sinistra nel gioco del calcio, ovvero quello che fa tutto il lavoro per fornire poi gli assist al centravanti-cantante.
Date le sue scelte musicali e di vita, ai più la carriera di Marr sembrerà terminata con gli Smiths. Invece, come i più avvertiti sanno, continuò in un vortice di collaborazioni a dischi altrui (Brian Ferry, Talking Heads, Pet Shop Boys, Billy Bragg, Beck, Oasis...) e di partecipazioni ad altre band: su tutte, all’epoca della massima gloria, gli Electronic con Bernard Sumner dei New Order (e per un certo periodo anche Neil Tennant dei Pet Shop Boys), dove però le parti erano sopraffatte, per sua volontà, dalle tastiere elettroniche; e i The The, dell’amico di sempre Matt Johnson; o, in tempi più recenti, gli Healers (l’unica band da lui fondata dopo lo scioglimento degli Smiths), i Modest Mouse e i Cribs.
Tutti progetti che non hanno goduto di grande popolarità dalle nostre parti; alcuni di essi, come i Modest Mouse, neppure in patria. Ma già solo l’elenco di questi nomi fa capire come la carriera di Marr, dal 2013 in pista utilizzando finalmente il proprio nome come ragione sociale, sia sempre stata di prim’ordine.
Ma perché questo libro è così avvincente? Innanzitutto perché non è un semplice elenco di collaborazioni e progetti, come a volte capita; ma racconta la verità umana profonda di un artista che ha sempre cercato autenticità, semplicità e fede (nella musica) tanto nei rapporti umani che in quelli artistici.
I primi capitoli, dedicati al ritratto dell’artista da giovane, dalla nascita nell’Inghilterra grigia d’inizio anni ’60, non risultano affatto noiosi, irrilevanti e prescindibili: al contrario, fanno appassionare alla progressiva rivelazione del destino che attendeva Marr, riuscendo anche a mettere a fuoco ambienti sociali e culturali di Manchester tra 1963 e 1982, l’anno in cui avviene l’incontro tra il nostro e Morrissey e nasce uno dei gruppi più influenti della storia del rock, ovvero gli Smiths.
Leggere del processo creativo che ha portato a comporre canzoni epocali come “William, It Was Really Nothing”, “Please, Please, Please Let Me Get What I Want” e “How Soon Is Now?", nate in quattro giorni nel giugno del 1984 con il preciso obbiettivo di dar vita a un EP che fosse memorabile, ha del meraviglioso.
Così come la descrizione del misti di feroce determinazione e candore che ha guidato la carriera e i rapporti degli Smiths fin quando, nel 1987, qualcosa si è rotto, durante le registrazioni di “Strangeways, Here We Come”. Fino a quel momento gli Smiths avevano incredibilmente gestito tutta la loro carriera senza nessun manager (Joe Moss aveva mollato quasi subito). Marr ne aveva appena assunto uno, Ken Friedman, presentatogli da Morrissey. Ma ciò ruppe l’equilibrio nella band: Morrissey, Rourke e Joyce si schierarono contro Marr. Rotta l’amicizia, il divorzio fu inevitabile.
Altro motivo di meraviglia è che il libro risulta così avvincente pur sorvolando su episodi di violenza e droga che pur non dovettero mancare: Marr ricorda la sua pesante dipendenza dalla cocaina e il suo uso smodato di LSD e marijuana, ma tutto ciò non si traduce in aneddoti piccanti. Si narra di un suo arresto durante le prove prima della fondazione degli Smiths; di un clamoroso incidente in macchina; del passatempo preferito suo e di Matt Johnson ai tempi dei The The, ovvero tirare pomodori dal tetto di un centro commerciale sulla gente che passava. Nulla di più.
Eppure come non rimanere affascinati quando Marr narra del riavvicinamento tra lui e Morrissey nel 2008, che per qualche giorno portò i due a riconsiderare seriamente di rimettere insieme la band? Fu Morrissey a scomparire, secondo Marr: ma è anche vero che lui stesso non ha fatto chissà quale tentativo in questo senso.
La causa mossa a lui e Morrissey da Rourke e Joyce sulla questione della ripartizione dei proventi degli Smiths; il colpo di fulmine adolescenziale con Angie, che sarebbe diventata sua moglie; le amicizie con Bill Duffy (poi chitarrista dei Cult) e Paul McCartney; l’incontro inaspettato con Keith Richards che gli manda la sua leggendaria Bentley per passare un pomeriggio a suonare insieme; la svolta salutista; il pomeriggio seduto su una sedia a dondolo sulla veranda della casa Natale di Elvis a Tupelo; la scoperta degli Oasis, l’incontro con Noel e Liam, il loro primo concerto, il dono a Noel della Gibson Les Paul che era appartenuta a Pete Townshend e con cui Marr aveva scritto “Panic” e “London” (e con cui Gallagher scrisse immediatamente “Live Forever”): sono infiniti i piccoli aneddoti di una vita vissuta sempre con meraviglia e animo candido. Consigliatissimo, in primis ai fans degli Smiths, in secundis a ogni innamorato di musica rock e della vita.
Articolo del
10/11/2017 -
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