Giunge alla fine la collana “Gli anni d’oro del rock”, compilata amorevolmente dalle manine sante di Riccardo Bertoncelli, con un piccolo aiuto da parte degli amici: in questa occasione l’altro Venerato Maestro Franco Zanetti, nelle vesti di superesperto beatlesiano qual è, e la congrega dei Lunatics, autori di alcune belle opere pinkfloydiane uscite sempre per i tipi di Giunti.
Comprensiva di altre tre volumi (“1965-1966. La nascita del nuovo rock”, “1967. Intorno al Sgt. Pepper” e “1969. Da Abbey Road a Woodstock”), cui si affianca il volume da cui ha preso avvio il folle volo, ovvero “Sgt. Pepper. La vera storia”, scritto a quattro mani da Bertoncelli & Zanetti e uscito 11 anni fa, la collana rappresenta un piccolo must per ogni appassionato del Sacro Rock Che Fu, di cui l’ultimo volume costituisce il degno coronamento.
Ultimo volume, ma forse il più difficile da scrivere per un anno considerato fantasmagorico, ma che, al confronto delle annate immediatamente precedenti e successive, mostra un certo qual tono minore. Bertoncelli stesso annota nell’introduzione che il 1968 è “un groviglio complicato e non il mito invincibile che ci è stato consegnato [...]; e se vogliamo dirla tutta e giocar di fino con il paradosso, è l’anno più fragile della seconda metà dei ’60, là dove tra rock e nuovo jazz si inventa un nuovo modo di fare musica, di ascoltarla, di viverla. Un anno incerto, sospeso, un tempo di transizione tra la bellezza pura del 1965-1967, il Big Bang, e le avvincenti dolorose contraddizioni che seguiranno”.
In questo senso il volume è lo sviluppo e il perfezionamento delle intuizioni e delle premesse poste dallo stesso Bertoncelli e da Zanetti nel 2008, anno in cui uscì per i tipi di BUR “Avantpop ’68. Canzoni indimenticabili di un anno che non è mai finito”, di tutt’altro impianto e di cui il saggio presente non costituisce in alcun modo rimasticatura. E poi, attenzione: in confronto all’oggi si tratta pur sempre di Età degli Dei e dei Giganti.
Lo schema è il consueto della collana: dopo una preliminare cronologia dell’anno in esame, apertura affidata alle memorie beatlesiane di Zanetti, che stavolta si diffondono su viaggio in India dei Fab Four, origini, vicende e fortune di “Yellow Submarine” (il film), doppio bianco. Quindi entra in campo Bertoncelli, che, con il consueto tono borgesiano, scorre le vicende degli Avversari di sempre Rolling Stones, l’implosione dei Cream, la nascita dei Led Zeppelin, il fermento della scena di San Francisco (nascita del Fillmore West; avventure dei Big Brother & The Holding Company; primi passi di Santana ancora bluesman; Grateful Dead e “Dark Star”; l’incontro tra Godard, Pennebaker e Jefferson Airplane), l’ipercreatività del personale feticcio bertoncelliano, ovvero Frank Zappa, cedendo il testimone per un attimo ai Lunatics per illustrare vicende e misteri di “A Saucerful of Secrets”, in particolare della sua copertina (si tratta, come segnalato, di un capitolo tratto dal loro saggio “Pink Floyd. Storie e segreti”).
Si chiude in gloria, prima con “Dodici storie leggendarie” (tra cui l’invenzione del country rock a opera dei Byrds, l’International Festival Pop di Roma, James Brown tra black proudness e devozione alla Patria, il Festival della vita di Chicago) e poi con 48 recensioni di dischi del 1968, alcuni capolavori, altri no, la maggior parte rock, ma alcuni jazz, folk, pop.
Il panorama dell’anno in musica e dei suoi immaginari addentellati è completo e tale da permettere al lettore un’immersione a tutto tondo nell’epoca: mancano sapori, odori e profumi, ma la scrittura di Bertoncelli tenta sapientemente di evocarli. Oltre all’argomento in sé e alla bellezza dello stile, che fa dell’autore uno dei pochi scrittori rock in cui l’accento cade su “scrittore”, il libro si fa divorare e rileggere anche perché non si tratta delle solite storie. Le angolazioni sono inusuali e dalle miniere del tempo il capo pirata e i suoi aiutanti estraggono pepite preziose e nascoste grazie all’attenta esplorazione non solo di biografie e ricordi, ma dei bootleg che documentano l’attività sessantottina di artisti che in quell’anno leggendario pubblicarono poco o nulla. Quattro parole: per tutti, da avere
Articolo del
09/07/2018 -
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