Una segnalazione tardiva, ma che non poteva mancare tra le pagine di Extra Music Magazine: la monografia di Jon Savage sui Joy Division, pubblicata nell’aprile 2019 dalla prestigiosa Faber & Faber, e uscita anche in traduzione italiana (a cura di Boris Battaglia), col titolo un po’ discutibile Joy Division. Autobiografia di una band e una veste editoriale meno accattivante della versione in inglese.
Il titolo originale del testo fa riferimento a una frase pronunciata da Tony Wilson dopo aver assistito a un’esibizione del gruppo di Ian Curtis, Bernard Sumner, Peter Hook e Stephen Morris nella fase iniziale della carriera (aprile 1978). In gara con altre band esordienti di Manchester per ottenere una scrittura, sul palco del Rafters i quattro svettano sui concorrenti, e sulla loro proposta pop o pub-rock, con la propria musica “violenta e allo stesso tempo ipnotica”; quei venti minuti di set suonati all’una e mezzo di notte sono uno shock, e bastano a Wilson per fargli capire di trovarsi di fronte a un complesso unico, mosso da un’urgenza febbrile e senza pari.
La storia dei Joy Division è ormai abbastanza nota, ed è già stata raccontata da saggi, memoir, film e documentari. Tuttavia (ammesso che non siano sufficienti la credibilità, la preparazione e l’esperienza dell’autore), ciò che rende appetibile This Searing Light, the Sun and Everything Else è il fatto che la narrazione è costruita su numerosissime interviste ai membri della band, al suo entourage, e ad artisti, musicisti e giornalisti che ne hanno seguito il disagiato percorso, condotte da Jon Savage in diversi periodi di tempo (nel 1989 per la produzione del testo England's Dreaming: The "Sex Pistols" and Punk Rock; nel 1994 per un articolo apparso sulla rivista Mojo; nel 2016 per la realizzazione del documentario Joy Division; nel 2018).
Le informazioni e gli spunti abbondano. Il divario tra la Manchester dell’Ottocento, centro di innovazioni che vengono poi introdotte nel resto dell’Inghilterra, e la città desolata e inospitale, come i suoi dintorni, in cui nascono i membri del gruppo; il concerto tenuto nel 1976 dai Sex Pistols alla Lesser Free Trade Hall, caotico, emozionante e soprattutto illuminante (chiunque avrebbe potuto riprodurre quel “baccano”); la composizione dei primi brani, a partire da pattern suonati dal batterista; la messa a punto di sonorità e la definizione di un look che rendono i Joy Division una realtà unica, completamente fuori dal comune; le session per l’incisione di Unknown Pleasures, con le bizzarrie e le trovate del produttore Martin Hannett (come la bombola spray utilizzata per l’accompagnamento ritmico di “She’s Lost Control”); le opinioni discordanti sul risultato finale; il successo che si comincia ad assaporare, ma nel contempo, e in parallelo, i problemi di salute del cantante, le cui condizioni peggiorano; una certa fama, e gli impegni che ne conseguono: fardello che per il frontman diviene intollerabile.
Tema ricorrente dell’ultima parte del libro: il senso di colpa avvertito dai musicisti e dalla cerchia di amici e conoscenti. Tutti più o meno consapevoli che, forse, una gestione più oculata e meno gravosa dell’attività concertistica del complesso, e un dialogo più aperto con Curtis, avrebbero potuto portare a un epilogo diverso.
Una lettura necessaria, e a suo modo avvincente. Tra le pubblicazioni fondamentali sui Joy Division, insieme al Touching from a Distance di Deborah Curtis (ormai diventato un “classico”)
Articolo del
21/01/2020 -
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