Giungiamo alla fine del libro Dust N’ Bones, dedicato alla carriera dell’ex chitarrista dei Guns N' Roses, con diversi dubbi.
Tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio degli anni Novanta la band fu baciata da un successo strepitoso: 40 milioni di copie vendute dell’album d’esordio “Appetite For Destruction”, a cui si aggiunsero gli 8 dei seguenti “G N'R Lies” e i 30 di “Use Your Illusion I” e “Use Your Illusion II”. Nel campo della popular music, quella dei grandi numeri, delle major e dei videoclip, Izzy Stradlin e il suo gruppo portarono ‒ afferma l’autore ‒ una ventata di freschezza, restituendo al rock più sanguigno una carica trasgressiva da tempo edulcorata.
All’epoca, però, per restare nell’ambito dell’hard rock e dell’heavy metal, certo non mancavano i complessi che si proponevano con aria truce, sfrontatezza, testi e atteggiamenti che urtavano la sensibilità dei benpensanti; ovviamente, ciò che suscitava sdegno in questi ultimi accendeva invece l’entusiasmo di quanti apprezzavano che le regole fossero, almeno all’apparenza, sovvertite.
Altra perplessità, che riguarda le tesi dell’autore: il lascito dei Guns N' Roses, e dei successivi progetti avviati da Stradlin, è stato davvero così importante da influenzare il rock dell’ultimo ventennio? Guardiamo proprio con nostalgia quel manipolo di band dall’aspetto appariscente e dai modi provocatori e insolenti che popolavano i video, spesso con corredo di bellone, in quegli anni? (A tale proposito, si pensi allo sberleffo delle L7 nel brano Just Like Me). E, soprattutto, quella musica ha veramente lasciato un segno ravvisabile nelle produzioni odierne?
La critica che si può muovere a “Dust N’ Bones” è proprio voler far passare i Guns N' Roses come paladini di un rock non compromissorio che sintetizzava mirabilmente il sound di tre decenni (anni Sessanta, Settanta e Ottanta), omaggiandone le radici e i complessi capiscuola (dai Rolling Stones agli Aerosmith, dai Ramones agli AC/DC), come se tutto ciò fosse avvenuto in un contesto, gli Stati Uniti, altrimenti privo di fermenti e movimenti quali quelli, al contrario, vivacissimi, delle “sottoculture” underground.
Jake Brown pecca, inoltre, di enfasi eccessiva nei molteplici riferimenti al “genio” di Izzy Stradlin, e al fascino emanato dalla sua figura “enigmatica”: slanci un po’ troppo da fan, che sarebbe stato meglio contenere. Tuttavia, è encomiabile la scelta non banale di narrare la storia di un musicista che credevamo comprimario nei Guns N' Roses; pregio del libro è sottolineare invece il ruolo essenziale svolto dal chitarrista, anche dal punto di vista compositivo: Axl Rose e Slash rubavano la scena, ma alcuni dei brani più celebri del gruppo li ha scritti lui.
Benché la biografia e la carriera di Stradlin siano ricostruite in maniera accurata, la narrazione è priva di sussulti. Seppur defilato, il protagonista di “Dust N’ Bones” ha vissuto esperienze di dissolutezza e stravizi di ogni tipo; mancano però aneddoti particolarmente emozionanti all’insegna del “sesso, droga e rock and roll”, che avrebbero reso la lettura un po’ più avvincente. Altro neo, la lunghezza davvero estenuante, e inusuale in un testo di questo tipo, delle parti in cui vengono riportate le parole di musicisti, fidanzate, ecc.
L’edizione italiana è inoltre penalizzata da un’impaginazione “monolitica”, e da una traduzione discutibile. Un vero peccato, perché l’iniziativa di rendere disponibile anche nelle nostre librerie un saggio su un personaggio marginale come Stradlin è di per sé ammirevole. Ma, a prescindere dall’argomento trattato, il problema insuperabile è la scrittura di Brown, che proprio non ce la fa a produrre scintille
Articolo del
17/06/2021 -
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