Mi ricordo che anni fa, di sfuggita dentro un locale, parlando a un amico, dicevo che secondo me un libro scritto da un italiano sul rock anglosassone avrebbe sempre perso il confronto con quelli scritti in quella parte di mondo, ché troppe sono le cose, i riferimenti culturali alti o spiccioli, che a noi non possono che sfuggire, per quanto ci affanniamo in un’eterna rincorsa. Perciò non ne avrei mai scritti.
Ho tradito più volta quella promessa, ma i miei sono raccontini buffi di vere cavolate, che non necessitano di profondità. Francesco Donadio, tra i tanti motivi meritevoli per cui esiste, pare avere anche quello di derubricare a solenne cazzata il mio pensiero esposto a quell’amico anni fa (non è l’unico, eh. Ce ne sono altri). E meno male! Non solo, come ho avuto modo di scrivere a suo tempo, due dei suoi tre libri su Bowie dovrebbero essere pubblicati all’estero (“Fantastic Voyage” e “L’arte di scomparire”), ma pure quest’ultimo, notevolissimo, che racconta “la vera storia della prima volta di Bob Dylan in Italia”. Che come tutti saprete, non è quel concerto a Verona nel 1984, ma il suo passaggio a Roma e Perugia nel 1963, che lo portò anche ad esibirsi, per qualche svogliato ed alcolico minuto, al leggendario Folkstudio, peraltro da perfetto sconosciuto.
Eh già, è la verità: non di leggenda trattasi, ma di realtà storica, ampiamente documentata da Donadio stesso. Forse ne avrete letto sul numero 65 di “Classic Rock Italia”, il mensile per cui il giornalista romano scrive, che nel 2018 ospitò un articolo che era il primo abbozzo della splendida ossessione che ha dato vita a questo libro: Dylan venne in Italia, disperato d’amor, sulle tracce di Suze Rotolo, sua ragazza d’allora, venuta a studiare all’Università per stranieri a Perugia. La conoscete tutti: sarebbe finita sulla copertina dell’epocale THE FREEWHEELIN’ BOB DYLAN, uscito il 27 maggio di quell’anno.
Donadio non si limita a compulsare le biografie dylaniane e gli scritti autobiografici dei protagonisti della vicenda: secondo un copione già felicemente seguito per “L’arte di scomparire”, compulsa archivi e intervista tutti coloro che hanno avuto un ruolo o una piccola parte nella vicenda, da una parte all’altra dell’Oceano, giungendo perfino a identificare con nome e cognome l’amor galeotto di Suze a Perugia. I dettagli non ve li sto mica a raccontare, sennò poi non vi comprate il libro o, se lo comprate lo stesso, vi rovino piacere della lettura e sorprese.
Ma vi dico perché questa apparentemente piccola storia d’amore riveste un’importanza che la rende degna d’attenzione anche ai non malati di Dylan: perché è nel corso di questa rincorsa d’amore che Dylan scrive un lotto notevole di canzoni ispirate dalla lontananza di Suze e dalla gelosia per lei. Cambieranno quella che era la scaletta già registrata e definita di THE FREEWHEELIN’ BOB DYLAN e finiranno anche in THE TIMES THEY ARE A-CHANGIN'. Diverse rimarranno negli stracolmi cassetti di Dylan ed usciranno in questa o quella raccolta di inediti. Insomma, una storia importante, anche per noi. Così come il libro di Donadio. Un esempio di quello che può essere il giornalismo musicale nella sua veste migliore. Applausi.
Articolo del
02/02/2023 -
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