Stacy, l'ultimo lavoro di Gipi, è un romanzo grafico di 264 pagine che presenta una storia complessa e stratificata in cui realtà e sognato si toccano di continuo e procedono avviluppati lungo l’intera narrazione. La realtà si rivela la musa dell'autore, una realtà forte che esercita una profonda influenza anche sul mondo onirico. Stacy è ambientato in un contesto in cui la fama e il successo sono effimeri, pronti a dissolversi nell'arco di un istante. Ed è esattamente ciò che accade al protagonista, Gianni, un affermato sceneggiatore televisivo. La sua carriera è in pieno fulgore, ma un'intervista che sembrava innocente cambia radicalmente le carte in tavola, mettendo in dubbio tutto quello che aveva costruito (e che era). In Stacy si parla di un io frammentato che non può essere più tenuto insieme neanche dal corpo, poiché nel tratto dell’artista non c’è distinzione tra corpi reali e fittizi. Forse, però, è proprio quella fase oscura che divide l’io in tanti pezzi a schiudere il vero Gianni.
Il nuovo lavoro di Gipi è estremamente legato ai nostri tempi ed evidenzia con forza una sostanza reale in cui le parole devono essere scelte con estrema cautela. Ciò si rivela particolarmente vero nell'ambito della televisione e dei social network, universi dove le interpretazioni sono infinite (spesso malate) e ogni frase può avere ripercussioni imprevedibili. Gianni si rende conto di aver sempre dato molto peso al giudizio altrui solo quando la sua reputazione viene annientata da tre semplici parole Stacy è burrosa, una definizione sciocca, usata per descrivere un sogno. In una mente da narcisista come la sua, tutto procede in modo lineare, finché ci sono elogi, lodi e commenti entusiasti. Quando invece i commenti diventano feroci, la stabilità personale si rompe come uno specchio che cade dal nono piano.
I veri protagonisti di questa storia, a mio avviso, sono proprio la ferocia e la malvagità espresse dalla brutalità delle parole lasciate contro Gianni e dal sogno del rapimento. Questo è messo in evidenza anche dal demone che, di fronte alla cattiveria insita nell’attualità, diventa quasi una presenza ingenua e sincera, a tratti poetica. Deliziosa la scena sulla spiaggia nella quale il Demone tuffandosi in acqua svela la sua identità e il ruolo avuto da Gianni nella sua evocazione.
La scrittura a mano e i segni lasciati dalla matita rappresentano un tentativo di ricomporre i frammenti, rendendo visibile il progetto narrativo direttamente sulle pagine del romanzo, un progetto imperfetto, tremolante, pensato e ripensato. Nell’atto di rimettere insieme i suoi pezzi, il protagonista si mostra disorientato, incapace di riconquistare la sua identità (ammesso che ne abbia mai posseduta una) persino nei momenti condivisi con la donna oggetto dei suoi flirt o, probabilmente, del suo amore. Una donna reale che, peraltro, tenta di capirlo e perdonarlo, incarnando quel barlume di lucidità che restituisce alla Stacy incatenata tutta la sua dignità. Come la maggior parte dei lavori di Gipi, anche questo si discosta dai canoni tradizionali, lasciando porte aperte e questioni irrisolte. E forse proprio questo ambiguo lasciare in sospeso è la sua vera essenza.
Articolo del
06/02/2024 -
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