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“C’era una volta il mondo. La possibilità di rappresentarlo nel suo generale sentire, nei suoi cambiamenti. Intorno alla fine degli anni 70 il rock ha smesso di spiegare il mondo. L’elettronica stava già raccogliendo la staffetta, e fino al termine degli anni 90 è stata in grado di farlo: spiegare il mondo, restituirne un’immagine, essere quel presente tra i presenti capace, forse, di ritrarre maggiormente i tempi.” In queste parole, quasi un bilancio verso la fine del libro, c’è già una buona metà del senso e dell’importanza di questo terzo lavoro del vicentino Marco Mancassola, uno degli enfant prodige delle italiche lettere nel 2001 con il romanzo di formazione “Il mondo senza di me” (uscito per la piccola anconetana Pequod e poi riedito in pompa magna da Mondadori nel 2003), passato all’apocalittico apologo in chiave thriller gotica “Qualcuno ha mentito” (Mondadori 2004), e ora approdato al saggio. Mancassola, avrete capito, è uno che ama stupire e spiazzare. E ci riesce dando anche insolita forma a questo suo benedetto e sacrosanto saggio sulla cultura dance ed elettronica, forse il primo di autore italiano. Insolita forma perché da un certo punto in poi alla storia della dance si affianca la storia personale di Mancassola, senza nulla di forzato, riuscendo anzi ad illuminare opera e storia di senso ancora maggiore, in una notevole dialettica micro-macro. E questa è l’altra metà del saggio. “Last love parade” è libro di belle scoperte, per il lettore rockettaro. Scopre che il rock non ha avuto affatto mai il monopolio dell’elettronica, nonostante la sua introduzione nella musica popolare sia dovuta a quei quattro ragazzi robot di Düsseldorf che gli uomini appellano Kraftwerk. Che anzi si è sviluppata in una insospettabile altalena tra sponde dell’Atlantico, in una colossale partita di tennis tavolo Renania-Detroit-Brandeburgo. Che mentre i rockettari languivano esangui e snervati tra dolori, impotenze esistenziali e rabbia repressa, la scena dance elettronica correva rapida lungo i binari della massima riappropriazione del corpo e delle sue ragioni da un lato e della massima fuga dalla realtà, tra chimiche e rave. Vien quasi il sospetto che la musica stupida in tutti questi anni sia stata quasi l’indie rock. Non è così, naturalmente. Ma di certo la dance, compresa l’edonistica disco music, dimostra di profondità intellettuale e filosofica di primissimo piano. Capace, appunto, come si diceva, di spiegare il mondo al posto di papà rock’n’roll, vecchio e malato, e pure un po’ brontolone. Dance che accelera i bpm negli anni fino all’imballabile, all’ultraumano, in un disperato e romantico – in quanto tecnologico, e qui sta il bello - tentativo di trasformare la materia in energia pura. Di trasumanare facendosi déi. Tentativo fallito, obviously. E la scomparsa di Leo, amico per la pelle di Marco, assume il valore della scomparsa di questo tentativo. Non è necessario conoscere nomi e titoli, per leggere questo libro, che fonde a livello scrittorio narrazione e analisi, romanzo e saggio, tanto che non si sa dove termina l’uno e finisce l’altro, a ragionarci bene. Alla fine, tanta voglia di ascoltare tutti brani citati, con la sensazione di essersi persi una bella fetta di esperienza umana. Damen und Herren, applausi e chapeau. E poi a comprarsi il libro, marsch!
Articolo del
01/06/2005 -
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