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Un libro su David Bowie, pubblicato e scritto in Italia, è sempre da salutare con piacere, vista la sottovalutazione di cui uno dei massimi artisti rock, grande interprete del disagio post-moderno, soffre in Italia. Laura Gerevasi, fresca di laurea in quel di Pavia con una tesi su “La messa in scena della metamorfosi: nichilismo ed elaborazione del lutto in David Bowie. Analisi trasversale di nove canzoni”, capitalizza il risultato compilando questa raccolta di testi tradotti e commentati per la collana “Pensieri e parole” degli Editori Riuniti. Raccolta che ha indiscutibili meriti e lacune riprovevoli. Cominciamo da queste. La prima lacuna non dipende da Gerevasi, ed è la mancanza dei testi in versione integrale. Sennonché la legge italiana esenta dal pagamento dei diritti d’autore sui testi se se ne pubblicano degli stralci a scopo di commento. E vabbé. Ma poi, in un impianto generale buono, Gerevasi incorre in alcuni scivoloni davvero brutti. Il più grave è su “Life on Mars?”, pezzetto mica da nulla nella produzione del nostro: sbagliando la traduzione dei primi due versi (quella corretta è “È davvero una cosa di poco conto per la ragazza dai capelli grigi”), Gerevasi giudica si tratti "semplicemente della canzonatura del programma televisivo inglese degli anni 60 Life on Mars?". E invece è uno dei fini ritratti psicologici adolescenziali (come “Rebel rebel”) che Bowie dipinge negli anni del glam. Altri errori: dopo un buon inquadramento dei significati mistici ed esoterici di “Station to station”, Gerevasi o chi per lei traduce “you drive like a demon from station to station” con “guidi come un pazzo da stazione a stazione”. Forse “indemoniato” avrebbe reso meglio il duplice senso, no? E poi: “Low” non è stato registrato a Berlino (tranne “Weeping wall” e “Art decade”), ma in Francia, allo Chateau d’Herouville. La fase disimpegnata degli anni 80, inaugurata da “Let’s dance” non si spiega solo col desiderio di “fare soldi” (Bowie piazzava regolarmente i suoi album sperimentali in cima alle classifiche): esiste una cosa chiamata “inaridimento creativo”. Causato, nello specifico, dall’evidente presa di distanza di Bowie dal sé stesso anni 70, dipendente dalla cocaina: in un comprensibile e tipico desiderio di salute, si dedica negli anni 80 più a cinema e teatro che alla musica, con opere più che impegnate (“Baal” di Brecht, “The elephant man” di Pomerance). Come Gerevasi prende in considerazione i video, poteva tener conto della carriera d’attore. Infine, se è comprensibile la scelta di lasciar fuori i testi non compresi negli album ufficiali, qualche eccezione si poteva fare: “All the young dudes” è un brano centrale nel percorso umano e artistico di Bowie, per dirne una. Fine delle cose cattive. Voilà, si passa agli indiscutibili meriti. Primo, il mastodontico studio su tutta la carriera bowiana, come si diceva. Due, il mettere in luce come il “camaleontismo” troppo spesso scambiato per superficialità da certa critica italiota sia in realtà una delle più lucide e disperate rappresentazione della disperazione dell’uomo contemporaneo, privo di riferimenti dopo la nietzschana “morte di Dio”, cioè di tutte le ideologie, di fronte al non-senso dell’esistenza. Le continue svolte del ragazzo di Brixton sono solo apparentemente tali: è fortissimo il senso di continuità dato dalle tematiche fondamentali dello smarrimento esistenziale tra “fede e ragione, realtà e finzione, bene e male”. In quest’ottica il libro sfata anche la panzana di un Bowie filo nazista, e ne rivela le drammatiche preoccupazioni democratiche(manca però la citazione dei versi forse più forti di tutti: “So where's the moral / when people have their fingers broken?2/ To be insulted by these fascists / it's so degrading /And it's no game”. Ovvero: “Dov’è quindi la morale / quando si rompono le dita alla gente? / Essere insultati da questi fascisti /è così degradante / E non è un gioco”, da “It’s no game”, 1981). E infine, questo libro mostra i momenti di grande poesia unita a meditazione filosofica, di cui è capace il nostro, anche nelle produzioni musicalmente meno interessanti. Giudizio definitivo, quindi, positivo. Agli errori segnalati magari si può rimediare in ristampa, no?
Articolo del
05/07/2005 -
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