|
La mia amica Claudia detesta Bono Vox. Le volte che se ne parla, riesce a tratteggiare in un attimo tutti i difetti, le contraddizioni e gli aspetti negativi che si può credere di vedere in quest’uomo. Quando ho preso in mano “Bono on Bono” temevo proprio che le considerazioni della mia amica si sarebbero rivelate molto più vere di quanto io stessa voglia ammettere. Pensavo che ne sarebbe uscito un ritratto compiaciuto, di una rockstar ricca e annoiata, che si crede un gran figo e che si aggira per i posti più belli e ricchi del mondo complimentandosi di sé e di quanto è buono. Insomma, l’idea di una biografia di un artista sulla quarantina mi aveva messo un po’ di preconcetti. Per fortuna mi sono sbagliata. Innanzitutto, non si tratta di una biografia, ma di un serie di conversazioni tra il frontman degli U2 e il giornalista francese Michka. Assayas Dalle pagine vengono fuori vari aspetti di un personaggio che, in realtà, nessuno -- forse nemmeno lui stesso -- conosce. Esce il padre che gioca con i figli nel lettone, un marito innamorato di una moglie fantastica, un artista che sente le melodie e le vuole trasmettere, che ammette i suoi limiti con una semplicità fantastica. Un cantante che sta in un gruppo perché gli altri membri degli U2 riescono a completare quello che a lui manca artisticamente. Si parla di morte, di vita, di fama, di sesso, di arte e di famiglia, in particolare del rapporto con un padre autoritario con cui per troppo tempo i rapporti sono stati troppo tesi. E poi c’è tanta religione, tanto credere e aggrapparsi a questa fede forte, sicura, una specie di salvagente sempre presente. Chiaramente si parla di Africa, e se ne parla molto. Le domande che Assayas fa sono spigolose, dirette, ogni tanto fastidiose. Leggendo, a volte mi chiedevo perché il giornalista facesse delle domande del genere a Bono: insomma, dopotutto è una popstar, un cantante… perché fargli domande così impegnative? Ma la risposta è ovvia: da Bono certe cose le pretendi. E Assayas stesso gli fa vedere questa cosa, ma il cantante è bravo a svincolarsi, dicendo di sapere che la gente si aspetta delle cose da lui, ma che se ne frega se non riesce ad essere sempre all’altezza. Molto bella è la parte dedicata alla questione degli aiuti ai paesi poveri. Assayas fa notare quanto gli aiuti abbiano in alcuni casi portato effetti negativi e peggiorato la situazione dei paesi a cui sono stati dati. Ma è con una semplicità, una concretezza e una chiarezza incredibile che Bono ribatte, dicendo che è innegabile che questo sia successo, ma che questa non è una scusa: l’Africa ha bisogno degli aiuti, ha bisogno di commerciare equamente con il resto del mondo e il fatto che molti soldi siano stati sprecati da governanti avidi e da gestioni pessime non può giustificare che si lasci che un intero continente bruci e collassi sotto il peso di fame, AIDS e povertà. A un certo punto del libro, Assayas domanda, in merito a una canzone (nello specifico, si tratta di “Bullet the blue sky”), se Bono crede di aver saputo esprimere con essa tutto quello che voleva. La risposta è “No, ma almeno ci ho provato”. E credo che questa sia più o meno la chiave di tutto il libro: non sempre si fanno le cose giuste, non sempre si ha successo, ma quanto meno bisogna fare del proprio meglio. Mi piacerebbe che la mia amica Claudia, quando non avrà meglio da fare, prendesse questo libro e gli desse un occhio. Non credo che la sua opinione ne uscirebbe cambiata, ma forse vedrebbe un po’ quello che ho visto io: un giullare, un buffone e sbruffone, ma che è conscio di quello che fa, che conosce molte cose e che sa essere divertente, serissimo e concreto. E forse è proprio questo il motivo per cui (mi) piace così tanto.
Articolo del
08/08/2005 -
©2002 - 2025 Extra! Music Magazine - Tutti i diritti riservati
|