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Che Nick Hornby non fosse poi 'sto maestro, in fatto di questioni relative ale sette note, lo si era sgamato da alcuni dettagli dei suoi libri (e sceneggiature) in cui la musica faceva capolino. Dalle famose Top 5 di "Alta Fedeltà", per esempio, in cui il vecchio Nick non si discostava dalla citazione di gente appartenente a: a) punk e post-punk inglese tra il '77 e l'82; b) soul e r'n'b USA tra il '61 e il '75. Come anche dalla famigerata apparizione del cosiddetto Boss Springsteen nel ruolo di Guida Sprituale (!!!) di Cusack nel film tratto dal succitato romanzo (scelta fra l'altro poco in linea con il carattere del protagonista, adoratore di bands e artisti di "culto"). Vista l'inclinazione di Hornby a parlare spesso e volentieri di musica nelle sue opere, al "New Yorker" (storico magazine di cultura e costume della Grande Mela) lo hanno ingaggiato come critico musicale, incarico in cui il Nostro in realtà non eccelle granchè, se ben ricordo una sua poco incisiva recensione dei Teenage Fanclub apparsa circa un anno fa su "Mojo". E adesso, eccolo ulteriormente promosso a curatore e selezionatore per la raccolta annuale di scritti sul rock e generi affini della Da Capo Press (tradotta e pubblicata in questi giorni dai tipi della Guanda). Se voleva darci un'idea di quella che è stata la scena musicale nel 2001, Hornby ha fallito in toto: è ovvio, anche a giudicare dalla sua introduzione, che il rock/pop attuale non gli piace, non gli interessa e non lo ascolta. A 45 anni suonati, lo scrittore inglese detesta il rap ed Eminem, che fa volentieri stroncare da un critico saccente quale Eric Boehlert. E non ha idea di cosa sia l'electronica, fenomeno che nel libro è pressochè ignorato. Ovviamente, tra tanti articoli qualcosa di valido c'è: ad esempio il pezzo di Rian Malan "In the Jungle", in cui si racconta la storia della celeberrima canzone "The Lion Sleeps Tonight"; o il ritratto di Johnny Cash ormai 70enne tratteggiato dal leggendario giornalista di Rolling Stone Anthony De Curtis. Ma l’articolo più esemplificativo dell’intera raccolta è "Golden Oldies", scritto da Lori Robertson per l'American Journalism Review , in cui critici ormai avvizziti ed ultrasessantenni come Robert Hilburn del LA Times e Robert Christhau del Village Voice cercano di convincere l’autrice di essere ancora al passo delle nuove tendenze musicali e di seguire gli Slipknot con la stessa passione con la quale ai loro tempi ascoltavano Jimi, Jim & Janis. L’impressione con cui si resta alla fine della lettura è, al contrario, che siano dei fasulli e dei mentitori. E che probabilmente un po’ fasullo è anche Nick Hornby, nella sua nuova, improvvisata veste di critico della musica giovanile.
Articolo del
24/11/2002 -
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