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Romanzi così non escono tutti i giorni. In un panorama della narrativa italiana che trovo fatto di tante cose carine, ma poco memorabili, specchio perfetto del tempo che il nostro Paese vive, “Dies irae” di Giuseppe Genna si leva come un monolite kubrickiano. Imponente, misterioso e alieno. Malignamente affascinante. È un romanzo che contiene thriller, faction (genere che mischia eventi e personaggi reali e attuali con una trama immaginaria), metaletteratura, fantascienza, giornalismo, inserti medici e tecnologici, preghiere, romanzo novecentesco. E sicuramente dimentico qualcosa. È un romanzo-mondo, insomma, in cui l’affastellamento dei generi tenta di descrivere e decrittare il caos che ci circonda, nient’altro, forse, che un polverone agitato da un Ordine che vuole restare invisibile. “Dies irae” si dipana attraverso gli ultimi 25 anni di storia italiana, illuminando sprazzi del lontanissimo futuro della specie umana. L’evento di partenza è la tragedia di Vermicino, vicino Frascati: l’11 giugno 1981 Alfredo Rampi, bambino di sei anni, cade (cade?) in un pozzo artesiano. La diretta televisiva del tentativo di salvataggio – la prima in Italia – è un evento mediatico che scuote nel profondo la nazione. Troppe le cose strane: il pozzo artesiano era chiuso (chi lo ha chiuso? Perché?), il bambino indossava una imbracatura (chi gliel’ha messa?), credeva di trovarsi una stanza buia e invocava un inesistente “zio Ivo”. Un complotto per levare dalle prime pagine la vicenda dello scandalo P2 e condizionare psicologicamente l’Italia, secondo Genna, che asserisce di aver lavorato a contatto con i Servizi Segreti, che gli avrebbero detto: “Per proteggerti, o taci su tutto o racconti tutto”. Genna avrebbe scelto la seconda opzione, in questo e nei suoi libri precedenti. Non è importante crederci, al di là del patto narrativo: il punto è che la decrittazione delle vicende italiane da Vermicino a oggi, passando per il Mundial 82, Craxi e la corruzione, Tangentopoli e la presa di potere piduista berlusconiana, è tremendamente plausibile, fosse pure frutto di intuizione. Ma questo è solo un aspetto del romanzo: al complotto e ai complottisti Luigi Darida e Jonathan Aberdeen si intrecciano le storie personali, tutte dolorose e compassionevoli, di Paola C., “nata nell'hinterland di Milano, in fuga da un trauma devastante”, della figlia di industriali Monica B. e di suo marito Massimo, autore di format tv, dello stesso Genna, personaggio anch’egli, schiacciato dalle memorie di famiglie, in ascolto delle voci dei morti, in perenne costruzione di un’opera immensa, il vero “Dies irae”, un milione di pagine sconnesse di impossibile decifrazione, sulle sorti future della specie umana. Tutti, alla fine, direttamente feriti dal complotto, così come potrebbe accadere ad ognuno di noi. Tutti incapaci di comprendersi a vicenda, precipitati in abissi di dolore da cui quasi nessuno di loro sa riemergere. Come tutti noi, forse. La scrittura razionale e compassionevole a tempo stesso di Genna fonde mirabilmente questi due piani del racconto e anche il terzo, quello fantascientifico-metafisico sulle sorti dell’umanità, dipingendo un mondo livido per il dolore che reprime. Così come di ira repressa e ghiacciata è fatto il nucleo stesso dell’ispirazione del libro. L’esperienza del noir, da cui viene, gli permette di tenere sempre alta la tensione, cospargendo la trama di figure simboliche ricorrenti ed epifaniche: il Bambino, il cane nero, i matti e i suicidi, per dirne qualcuno. Lo stesso libro esiste in tre versioni: quello fisico che possiamo leggere, quello “segreto” di un milione di pagine di cui ogni tanto vengono forniti lacerti, la trasmissione tv dallo stesso titolo con cui Massimo B. vuole rivelate la storia segreta dell’Italia alle masse. Si è detto che Genna ha voluto rifare “Underworld” di De Lillo. Si può dire per ogni autore di un romanzo mondo oggi, allora. Perché Genna con “Dies irae” ha scritto l’opera che dà un senso alle vicende del “Paese che muore Italia”, elevandone le bassezze al livello della grande tragedia greca, scorgendo da moderno Isidoro di Siviglia nel caos che ci circonda il simbolo di una Realtà Altra. Non è questo che deve fare la Letteratura?
Articolo del
04/08/2006 -
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