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Si, è vero. In questo “Tutto In Una Notte” c’è davvero Tutto. Anche Troppo. Tutto quello che ha potuto significare vivere in quel dannato 1977, per esempio. L’anno della “musica nuova”, del coito magistrale ed ineffabile del punk. Nonché di tutte le tribù giovanili che, alla “The Warriors” per intenderci, si spartivano Londra. Tutto quello che ha voluto dire – e per certi versi, ancora vuol dire – fare giornalismo musicale dal basso, con piglio iperindipendente e la passione del fan, più che del professionista della carta stampata. E farlo sin da ragazzini, come accade a chi scrive (che quindi, nei tre protagonisti “cool hunter”-reporter dell’epoca, almeno lontanissimamente ci si è ritrovato). Ed ancora: tutto quel che c’era contro e che lo era almeno da dieci anni: dalle droghe al femminismo e insomma si, siamo sempre lì, sex&drug&rock‘n’roll. L’onda lunghissima e storpiata della “summer of love”. E che infatti – nell’unica notte in cui si svolgono i fatti narrati, quella del 16 agosto ma soprattutto della morte di Elvis Presley - sembra arrivata ad inevitabile scadenza e marcescenza. Lasciando posto ad un nuovo che è già vecchio. Il libro di Tony Parsons, mitica firma inglese prima del New Musical Express ed ora columnist del Mirror, non è affatto un grandissimo libro: narrativamente è mediocre e la traduzione rinsecchisce quanto di pregnante c’era probabilmente nella versione originale. Mediocre non significa brutto, capiamoci: significa solo che il suo stile narrativo non spicca per nessuna ragione. Né, tecnicamente, per qualche artificio sintattico, né, più in generale, per un aspetto o un altro – ironia e sarcasmo sono distillate in dosi prevedibilissime e banali, le linee narrative banalotte e a tratti un po’ carenti nei nessi logici, per un testo di questo genere. Proprio qui però, in questa omogeneità di fondo tendente al livellamento stilistico da largo e facile consumo, sta lo snodo paradossale del romanzo: il fatto, cioè, che Tony Parsons abbia frantumato la propria biografia ed abbia innestato un pezzetto di se stesso in ciascuno dei tre personaggi - Ray, Terry e Leon - basta da sé a fare di “Tutto In Una Notte” un documento attendibile e spassoso della scatenata epoca dei Clash. Ecco, questo è – né più né meno: una “biografia-narrata” nella quale l’autore ha evidentemente spalmato i suoi sogni, le sue storie, il suo carattere e le sue avventure in un quadro pullulato da più personaggi, ciascuno a suo modo imparentato all’altro. Ray, fricchettone in ritardo spiazzato dal "nuovo" la cui missione è intervistare John Lennon per non perdere la scrivania; Terry, hooligan working class punkettaro innamorato della fotografa-femminista pseudo radical-chic Misty; Leon, squatter idealista e un po’ paraculo a cui tutti vogliono menare le mani. E allora qui si che il libro funziona, eccome se ingrana quando gioca senza troppe pretese sulle fughe, sulla musica, sulle vicende che sconvolgono la babelica redazione del fantomatico settimanale“The Paper” (dietro al quale c'è il NME di Parsons): seguendo insomma le scalcinate avventure dei tre finisci per essere lì, al loro fianco, fuggendo da una rissa con gli immensi Teddy Boys o coi selvaggi Cani di Daghenam, correndo per assistere all’ultimo concerto delle improbabili Leni & The Riefensthals e finendo invece per ballare soul al Goldmine. Tutto bene: spassoso, stimolante, esauriente ma al punto giusto. La giovanilistica sensazione di “essere al centro del mondo” è ottimamente veicolata. Ti dà ben più di un’idea di quel che poteva essere: cominci a sentirne il profumo, di quel ’77 spartiacque. La “stecca” dell’autore, però, sta proprio nel voler poi far emergere il libro come romanzo sull’amicizia e la crescita: farne, in sostanza, un anti-Bildungsroman da panico di tre ventenni londinesi del 1977. Estrarre – dalle tirate di speed alle scopate fino all’energia ancestrale che il punk riscuoteva facendo a pezzi il rock ‘n’ roll - delle Verità Assolute, delle Sentenze Universali magari condivisibili ma banali e fuori luogo. E allora, a quel punto, quello che poteva venir fuori come un eccellente on-the-road (nel senso davvero che la maggior parte degli avvenimenti ha luogo sull’asfalto londinese) musicale che rendesse un affresco sincero e anche un po’ nostalgico di un anno - ma anche di un periodo - tanto campale per la musica quanto confuso e autodistruttivo finisce col risultare solo un buon libro. Un buon libro che – si sente, da certi intarsi, da certi passaggi – l’autore ha voluto spingere a tutti i costi fino al rango onorevole di “Sussidiario illustrato della giovinezza” quando è solo (e con grande onore) un “Affresco attendibile di certe giovinezze scatenate”. Coi titoli italiani, poi, Parsons è davvero sfigato: questo insipido “Tutto In Una Notte”, sulla cover di una squisita edizione della Barbera, sa molto di Harmony, più che di un bel libro sulla nascita e il crollo del regno del punk.
Articolo del
28/08/2006 -
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