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C’è Ottone, ossessionato dalle fichette di Salsomaggiore. Tanto da dover per forza uscire di corsa sulla Salaria a cercarne un accettabile alter-ego puttaniero che possa così surrogare il suo irrefrenabile spasmo dionisiaco. Poi Billie, pervertita inabile alla Vita che organizza scambi sessuali a distanza immaginando i propri amanti come Chet Baker e Miles Davis. E ama i dildo. Oppure Boris, fotografo che si scopa le modelle – che poi, per inciso, quale fotografo non lo fa? Quasi come un automa, senza Pietà. E Riccardo, che insieme ai suoi amici è a Lubiana, Slovenia, per scopare. Solo per quello, non sia mai che si giri per Cultura o altro, che schifo. E’ una combriccola di personaggi scalcinati e inadatti all’Amore, unfit for Love direbbero gli inglesi intendendo proprio “gente inabile”, quelli che popolano gli undici, dissacranti (giuro che non è retorica definirli tali) racconti de “La gang dei senzamore”. Fra mazzapicchi – il simpatico ed eufemistico sinonimo che l’autore sfrutta per indicare il membro maschile - e vagine, sogni proibiti e tentati stupri, mi pare che Antonio Iovane abbia poi, in fin dei conti, non molto da dire al di là di un paio di allarmati ed allarmanti messaggi canalizzati in un grido di disperazione che lo portano ad insistere con mostruosa virulenza sul sesso e sui “grilletti mentali” che innescano il desiderio carnale nudo e crudo. Il primo messaggio è: attenzione, nessuno sa più amare; che sarebbe già un grattacapo non da poco. Il problema è che nemmeno si sa da quale parte cominciare per rieducare questa gente, perché sanno mica più cosa sia l’Amore con la A maiuscola. L’altro, connesso a doppio filo, è l’estrema povertà dei suoi personaggi, tutti attenti al lato plastificato dell’esistenza, senza sogni (se non pornografici), senza speranze, senza progetti (se non sessualmente deviati) e soprattutto senza una “base” di qualche tipo da cui correggere il tiro. Di tutto ciò, Iovane ce ne dà un saggio attraverso una gamma di umanità imbarazzante quanto comune e ovunque proliferante, equipaggiato di un linguaggio a tratti pesante ma efficace nello stile – che dimostra un’assidua ed arguta frequentazione di certa editoria indipendente, irriverente e tutta –ente, in pratica - e nella sostanza. Una porzione di umanità in cui, purtroppo, ciascuno può riconoscere una percentuale (speriamo bassissima, per la comune sanità intellettiva) di se stesso o di chi meglio conosce. Osceno e fondamentale.
Articolo del
08/09/2006 -
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