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“Mio fratello è tornato a casa / ad ascoltare i suoi Beatles e i suoi Stones / Non ci ha mai preso bene quella roba sulla rivoluzione / Che noia, /troppe complicazioni”: non diceva la verità, David Bowie, nel 72, mentre scriveva questi versi di “All the Young Dudes”, forse l’anthem per eccellenza della generazione glam, passato agli amici Mott The Hoople per risollevarne la carriera. Lui, i Beatles e gli Stones, li adorava: amico – e non solo – di Mick Jagger, incise la loro “Let’s Spend the Night Together” in “Aladdin Sane” nel 73, e addirittura scrisse con John Lennon l’immortale “Fame” nel 74. Però diceva una verità. Non la sua, certo. Ma quella dei suoi fans, pubescenti e brufolosi, immortalati nelle immagini di apertura di “Ziggy Stardust & the Spiders from Mars. The Motion Picture” di Donn Alan Pennebaker. Mullets rosso carota, improbabili tute spaziali raffazzonate con vecchi costumi carnevaleschi di pezza, zeppe vertiginose, di lì a qualche anno sarebbero finiti in massa nell’esercito punk, e non ne potevano più davvero della musica hippie che piaceva ai loro fratelli maggiori, così grandi da avere più di venticinque anni. Ucciso Ziggy, nel periodo che va da “Pin Ups” a “Diamond Dogs” e “Young Americans” la rivista inglese “Mirabelle” chiese a Bowie di tenere un rubrica settimanale di colloquio con gl’imberbi fans. Bowie accettò, ma delegò l’impegno alla sua agente Cherry Vanilla, occupato com’era a sfondarsi di droghe, compiere ogni pirotecnìa sessuale possibile e – per inciso – conquistare l’America. Ai teneri frugoletti, benché zeppi di ormoni incandescenti, ribollenti e indeterminati, non poteva essere gettata in pasto la vera vita di David: così Cherry Vanilla ne approntò una versione per le masse, mischiando abilmente episodi reali del non-ancora-Duca Bianco e proprie avventure attribuite a David. Il tutto passato a un doppio filtro. Quello dell’idealizzazione della sposina Angie, ritratta come un’amatissima brava casalinga che però riesce magicamente a condurre pure una vita da modella (e invece le cronache riportano che David e Angie già si stavano scannando), buona amica di tutte le donne che David si portava a letto allora (ma questo non si poteva dire). E quello di uno stile letterario fatto di abbacinante candore infantile, che disegna un mondo dove tutto è possibile, buffo, bello e, se ci sono dei guai, non sono nulla che un buon tè non possa risolvere. Questi “Ziggy’s Papers” sono uno di quei libri che non raccontano nulla di fondamentale, ma al tempo stesso deliziano perché evocano un mondo e un immaginario forse oggi scomparsi (o forse no: chissà, magari questi sono gli stessi sentimenti dei fans di Avril Lavigne, per scadere nel becero). E poi, a noi lettori smaliziati che la pubertà l’abbiamo passata da un pezzo, svelano mentre occultano mentendo. Una buona parte del divertimento che questo libro regala sta nell’indovinare la realtà di sesso, droga, depravazione che sta dietro le favolette di Cherry Vanilla: come dice lo stesso Bowie nell’introduzione, “la cosa più frustrante nel rileggere questi diari, oggi, è sforzarsi di ricordare cosa stavo facendo. La cosa imbarazzante è che a volte me lo ricordo”.
Articolo del
22/05/2007 -
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