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A pagina 50 del libro pensavo: bello! A pagina 100: bellissimo! Vi priverò del colpo di scena, ma non ho più cambiato idea. No, cari miei. E sono andato avanti per tutte le 281 pagine di questo bellissimo romanzo godendomele tutte, grazie all’adorabile e sapiente mistura di godimento intellettuale ed emozioni di quelle che ti fanno battere il cuore, venire la pelle d’oca, intenerire come una mammoletta di questo che, no, cari miei, no, non è un libro di grammatica. È un libro sui modi in cui si può vivere l’amore. Giacché, come dice lo stesso Handler: “Non sono i nomi. Il miracolo sono gli avverbi, il modo in cui si fanno le cose”. E un miracolo è il modo in cui è fatto questo libro. Innanzitutto sono racconti. Però questo è un romanzo. Beh, il fatto è che tutti i racconti sono in qualche modo collegati fra di loro, fondamentalmente perché di tutti o quasi i personaggi che vi compaiono viene narrata una storia d’amore, magari non convenzionale, magari è un’amicizia che si esplica in un vero e proprio atto d’amore, o è la ricerca di un amore. E, beh, non so se esattamente di tutti i personaggi ci viene raccontato un episodio d’amore, bisognerebbe mettersi lì con la lista. Ma l’impressione è questa. Avete presente quelle belle rappresentazioni 3d di una molecola, con tutti gli atomi collegati dalle loro astine di metallo che fan tanto meccano? Ecco, “Avverbi” è un po’ così: gli atomi sono i personaggi e voi, ridiventati bambini, vi trovate a seguire le astine divertendovi un sacco a scoprire le relazioni di tutti con tutti. E i personaggi sono così ben caratterizzati, che anche se non ve ne ricordate i nomi, o vi viene il dubbio che non vivano tutti nella stessa epoca, li riconoscete. O perlomeno ne avete l’impressione, per quanto dovremmo metterci lì con carta e matita per verificarla. Ma chissené. È ovvio che il bello del romanzo, che inizia a New York, si sposta a San Francisco, fa una capatina a Seattle, e torna e San Fran, non è qui. Certo, ci sono mille altre piccole relazioni, tra i racconti: le onnipresenti gazze, le citazioni di canzoni che finiscono per creare una sorta di muta colonna sonora al libro (anche quando non le conosciamo, sappiamo che ci sono), i mille cocktail che vengono ordinati. E poi, l’attesa di una catastrofe, che venga dal vulcano su cui tutti son convinti sorga San Francisco, o da un’imprecisata minaccia terrorista. Non vi dirò se queste due catastrofi (o una) avvengono: vi dirò che nella loro attesa la vita dei personaggi si colora di mille prodigi, nel senso latino del termine, miracoli o sciagure che siano. Il che giustifica sia l’irruzione del fantastico nel quotidiano (e vi stragiuro che non è affatto la solita cagata, ma tutto il contrario), sia lo stile prodigioso di Handler (ottimamente reso dalla traduzione di Anna Mioni), capace di essere estremamente tenero o asetticamente distaccato, perdutamente malinconico o sorprendentemente spiritoso. E tutto nel giro di poche righe. Ecco, è in queste ultime cose il bello del romanzo, e forse Handler, che è stato anche fisarmonicista ospite nell’album “69 Love Songs” dei Magnetic Fields, si è addestrato a questa maneggevolezza stilistica nell’altra sua vita, quella, impensabile, come autore della collana per ragazzi “Una serie di sfortunati eventi”, sotto lo pseudonimo di Lemony Snicket. Ecco, “Avverbi” potrebbe sottotitolarsi “Una serie di prodigiose storie d’amore”, che – mi pare appena il caso di avvertirvi, carissimi – distano milioni di anni luce dalla pornografia sentimentaloide di Moccio Vileda o della Tamar(r)a nazionale. No, queste storie d’amore sono scabre, quotidiane, precarie, miracolose o tristi, impreviste o agognate: in una parola, vere. Sarà per questo che il ruvido Dave Eggers, quello de “L’opera struggente di un infaticabile genio”, uno così avvezzo a maltrattare i colleghi scrittori che essere stato stroncato da lui è quasi diventato sinonimo di “Ehi, sono qualcuno!” ha scritto (è in quarta di copertina): “Chiunque abbia come ragione di vita leggere opere splendide, proverà l’impulso di leccare questo libro e stringerlo tra le gambe mentre dorme”. Guai a chi prova a portarmelo via.
Articolo del
23/07/2007 -
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