|
D’accordo, è un libro vecchio di un anno e naturalmente ne possedevo già la traduzione italiana (dal mediocre titolo “Una vita da lettore”), ma dopo aver visto che l’originale era finalmente disponibile in edizione tascabile della Penguin, peraltro a un prezzo decisamente accessibile (11 euro), non ho resistito. Ora: non voglio fare il ricercato a tutti i costi, ma leggere uno scrittore (umoristico, peraltro) nella sua lingua madre è tutta un’altra cosa. Non che il traduttore di Edizioni Guanda facesse pena – tutt’altro – ma, dovendo scegliere, voi cosa preferite, ascoltare, “A Whiter Shade Of Pale” dei Procol Harum” o il remake “Senza luce” dei nostri Dik Dik? Meglio “Don’t Dream It’s Over” dei Crowded House o “Alta marea” di Antonello Venditti? Appunto. (Ri)leggere “The Complete Polysyllabic Spree” in versione originale è un’esperienza paragonabile. Certi ritmi della scrittura, molteplici espressioni, talune freddure inserite qua e là a tradimento – tipicamente hornbyiane – non sono affatto riproducibili, neanche dal più fantasioso e/o competente traduttore.
Come molti già sapranno, “...Spree” raccoglie una serie di pezzi scritti da Nick Hornby per il magazine letterario americano “The Believer” tra il 2004 e il 2006, da cui l’autore inglese ha avuto carta bianca per recensire mensilmente volumi di sua totale scelta, ricavandone nel contempo gli spunti per fare gustose osservazioni sulla letteratura in generale e sui meccanismi che motivano la gente ad acquistare (e, si spera, a leggere) libri. Neanche a dirlo, “...Spree” è uno spasso. Funziona alla grande, perché per l’ennesima volta Hornby si può sbizzarrire in ciò che in passato ha dimostrato di saper fare meglio: rendere giustizia al lettore medio riflettendo sulle sue presunte debolezze e inconsistenze, e costantemente, nel corso del libro, facendogli presente che è tutto perfettamente nella norma e che non ha alcun bisogno di autoflagellarsi. Proprio come in “Fever Pitch” (“Febbre a 90°” nella versione italica) Hornby smantellava la contraddizione implicita nell’essere delle persone mediamente civili e con un medio-alto grado di istruzione per poi trasformarsi in belve assatanate quando gioca la propria squadra del cuore; e come in “High Fidelity” (“Alta fedeltà”) lanciava una ciambella di salvataggio al fissato di musica dedito all’accumulo di dischi, all’esasperata ed esasperante ricerca di rarissimi 7’ e alla costruzione di elaborate quanto inutili mini-classifiche; su “The Complete Polysyllabic Spree” viene ancora una volta in nostro aiuto, o meglio: del lettore medio, di quello che non lavora presso qualche casa editrice o non ha incarichi di insegnamento presso una qualche università e deve divorare libri per professione. Hornby parla a tutti noi che leggiamo per piacere e/o per erudirci, e ci rivela le “sue” verità, che come al solito risultano piacevolmente consolatorie. Ma sì (ci dice): è del tutto normale comprare più libri di quanti non riusciamo a leggere. Capita inoltre a tutti, prima o poi, di prendere in mano un libro che la critica ha dichiarato imprescindibile e non riuscire ad andare oltre le prime dieci pagine: non per questo dobbiamo sentirci limitati, magari non è il (nostro) momento giusto per leggerlo, o magari è colpa del libro stesso, che a dispetto delle recensioni è un solenne mattone (a me è successo di recente con “Le uova del drago” di Pierangelo Buttafuoco: possibile che la critica l’abbia così magnificato?). E non c’è niente di male a sentirsi invogliati dalla biografia dell’allenatore di una squadra di football piuttosto che da un ostico, superpremiato romanzo letterario (la “Literary Novel”, ovvero il romanzo di letteratura “seria”, è oggetto di molteplici spietati attacchi nel corso del libro). Magari il “vostro” momento è proprio quello (o forse siete davvero dei bifolchi. Chissà…). E tante altre considerazioni che fanno – alternatamente – ghignare e riflettere, il tutto con il lieve stile hornbyiano che abbiamo imparato ad apprezzare in questi anni. Peraltro, Hornby non ha remore nel confessare la propria asinina ignoranza (che poi non è dissimile dalla nostra): particolarmente arguto e illuminante è il capitolo in cui fornisce il resoconto della sua lettura (per la prima volta, a quasi 50 anni di età, ma di fare bella figura non gliene può importare di meno) di "David Copperfield" di Charles Dickens, che – scopriamo – ritiene il più grande scrittore mai esistito.
A sorpresa, quindi, “The Complete Polysyllablic Spree” risulta essere una delle migliori opere in assoluto di Nick Hornby: quasi al livello di “Fever Pitch" (che in più conteneva anche un bel plot di maturazione del protagonista/autore) e una spanna al di sopra di “High Fidelity” la cui trama, in definitiva, non era poi così originale. Hornby conferma di essere un eccelso scrittore di non-fiction (gli ultimi due romanzi “How To Be Good” e “A Long Way Down” erano tutti e due prescindibili) ed è in questo campo che dovrebbe insistere, anche se rinunciare a Hollywood non è certo facile: entrambi i libri di cui sopra sono infatti già sotto opzione per farne dei film. Poi – certo - anche nel campo della saggistica lo scrittore londinese ha il suo tallone d’Achille che chiamasi “musica”. Vuoi per via di conoscenze discutibili e un po’ limitate (Springsteen, punk ’77, Teenage Fanclub e poco altro) vuoi per la “troppa” passione che da’ la sensazione di riversarvi, gli articoli (recensioni varie sul New Yorker e su Mojo) e i libri di Hornby (“31 Songs”) sull’argomento sono sempre risultati meno graffianti e meno divertenti del solito. Una sua bella raccolta di impressioni sul cinema e su Hollywood, invece, sono convinto che sarebbe spettacolare. Bisogna solo aspettare: tanto, prima o poi, arriverà il giorno che ce la ritroveremo in libreria.
Articolo del
12/11/2007 -
©2002 - 2025 Extra! Music Magazine - Tutti i diritti riservati
|