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Terzo libro dedicato da Minimum Fax agli scritti di Lester Bangs, dopo “Guida ragionevole al frastuono più atroce” (2005) e “Deliri, desideri e distorsioni” (2006). Chi non sa chi è Lester Bangs ed è appassionato di rock ora è pregato di fare due cose: uno, mettersi in testa un cappello conico con le orecchie d’asino (a meno che non abbia meno di 20 anni); due, ascoltare e imparare. In breve, Lester Bangs (1948-1982) fu uno dei più grandi critici rock mai esistiti, un uomo che ha mostrato al mondo come la frase di Frank Zappa “scrivere di musica è come danzare di architettura” sia una colossale stronzata. Non solo per aver inventato tra la fine degli anni 60 e l’inizio dei 70 i termini “punk”, “heavy metal” e perfino “grunge”, riferendoli ad artisti che mostravano già le caratteristiche che sappiamo. Ma anche per aver trasformato la recensione in un’opera d’arte, a metà tra il saggio e l’apparente delirio psichedelico. Davvero, spesso leggendo Bangs si immagina la musica. Non le note in se stesse. Ma il mood, l’atmosfera, quasi fisicamente. Senza contare la grande capacità di penetrazione psicologica di cui era capace: andate a leggervi, in questo libretto per nulla minore, l’estratto da quella lunga fantasia-saggio su “Maggie May”, la ballata autobiografica che nel 1971 portò al successo Rod Stewart. Ora, a Bangs non è che piacesse Rod Stewart. Lo trovava troppo pop, e di sicuro quel singolo non piaceva a lui, a suo agio tra i deliri sonici di Iggy Pop & the Stooges, nella consapevole decadenza di Lou Reed, nella sperimentazione di confine del Miles Davis di “On the Corner”. Ma, senza sdoganare il povero Rod, trae da ogni singolo verso di “Maggie May” materia per un vero e proprio racconto che scava nei meandri psicologici della tormentata relazione tra un ragazzo e una quarantenne che vivono nei bassifondi, nel lato selvaggia della strada, avrebbe detto il suo amico-nemico Lou. C’è chi ha visto in questo racconto, inedito in vita, di dieci ani più tardo rispetto alla canzone, un atto denigratorio verso “Maggie May”. Io non credo: scritto un anno prima della morte accidentale ma non casuale, quando Bangs ormai vedeva scivolare via la sua relazione col mondo e si ritrovava sempre più dannatamente solo, questa novella ci parla di lui. Oltre che, naturalmente, della disperazione e della difficoltà di accontentarsi di ciò che si è desiderato a lungo e intensamente. Una solitudine esistenziale spesso trattata da Bangs, ritrovata nei dischi di Nico (vedere le altre raccolte) come nei tentativi di romanzo, mai portati a termine, “Drug punk” o “Tutti i miei amici sono eremiti” (cogliete la disperata autoironia del titolo?), di cui qui si riportano ampi brani. O nella meravigliosa coppia costituita dalla recensione a “Lost Highways”, saggio di Peter Guralnick inedito in Italia su 21 artisti “maledetti” della musica americana, e dagli appunti preparatori ad essa, che si trasformano in un delirio intorno alla figura di Elvis, alla sua mediocrità umana che ne determina la grandezza tragica. Bel libro, da avere non solo per gli appassionati di rock, ma anche di scrittura rock, e in generale della buona letteratura. Perché, anche se in vita ha pubblicato solo recensioni e interviste, Bangs proprio questo è: uno dei più importanti scrittori americani degli ultimi 40 anni. E “Impubblicabile!” aiuta a chiarirlo.
Articolo del
29/02/2008 -
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