Quinta uscita della benemerita collana “Tracks” della milanese No Reply, che potrei riassumervi nello slogan “Un disco, un libro” (guarda caso, quello della collana originaria della Continuum Press di cui la No Reply ha acquisito i diritti per l’Italia. E bravi), “Let It Be” di Steve Matteo non tradisce le buone premesse poste dagli altri volumi sin qui usciti. Che l’ultimo disco dei Beatles non fosse stato registrato per ultimo, ma prima di “Abbey Road”, e si dovesse intitolare “Get Back” si sapeva. Che le sue registrazioni fossero state accompagnate dalle riprese day by day del film che doveva accompagnarlo, pure. Che detto film mostrasse impietosamente lo stato di dissoluzione del sodalizio che aveva cambiato il mondo, con i Fab Four che in studio si scazzano e mandano al diavolo, anche. Ma poste ferme queste tre coordinate l’americano Steve Matteo vi costruisce intorno una minuziosa ricostruzione, senza uguali, delle vicende del disco e dei rapporti fra i quattro, aiutandosi con l’enorme mole di bootleg contenenti frammenti delle sessions maledette. Non molti sanno che a generare il progetto fu la registrazione del singolo “Hey Jude”, durante la quale i Beatles si divertirono così tanto a suonare insieme da prendere in esame un rientro live. Ma dove? Dopo una serie di ipotesi bislacche, ne spuntò uno ancora più improbabile: usare un anfiteatro romano dell’Africa del Nord, davanti a “mille indigeni in tuniche color zafferano”. I Beatles e il loro materiale sarebbero stati trasportati in loco da un enorme aereo Galaxy dell’aviazione Usa. Fu Yoko Ono, con un’osservazione che avrebbe potuto fare qualsiasi altra fan della band, a mettere fine inconsapevolmente all’idea. Che osservazione? Beh, leggetevi il libretto di Steve Matteo. Che ha il pregio di mettere anche bene in luce il ruolo dei tre personaggi che più contribuirono a aumentare le tensioni interne fino a far sciogliere il gruppo. E no, non c’è Yoko nel lotto, per quanto la sua parte di responsabilità sia nota al mondo e non venga nascosta da Steve Matteo. In definitiva, un libro agile e ben fatto, erudito ma appassionante (due doti che raramente si accompagnano), e tale da far giustamente esprimere il suo compiacimento e stupore, per i particolari inediti che racconta, all’esperto beatlesiano Franco Zanetti nella sua postfazione. Sottoscrivo.
Articolo del
28/09/2008 -
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