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È in arrivo a fine ottobre “Control”, il film di Anton Corbijn sui Joy Division: l’avete letto su queste stesse pagine elettroniche. Come non farsi trovare impreparati all’appuntamento col biopic su una delle più grandi band della storia del rock? Facile come un ripassino e zeppo di notizie utili a capire la parabola che portò Ian Curtis a lasciare anzitempo e di propria volontà il terzo pianeta dal Sole, ecco questo “Unknown Pleasures” di Chris Ott, ex caporedattore di Pitchfork, la Bibbia di ogni webzine musicale. Uno che ne sa e sa come raccontarlo, insomma. Ott segue con amore la vicenda di quattro ragazzi di Manchester stregati dal punk dei Sex Pistols, dai primi acerbi demo al primo esaltante capolavoro, che intitola il libro, e ai singoli che lo seguirono, incisi nello stesso 1979, anche se editi l’anno dopo. Una breve appendice narra l’epilogo della band, arrivata al capolinea il 18 maggio, data del suicidio di Curtis. Il racconto/analisi di Ott ha il pregio di riuscire a ricondurre i testi e le atmosfere dei Joy Division ai problemi personali di Curtis (l’epilessia, l’immaturità emotiva, la relazione adulterina con Annik Honoré e il divorzio da Deborah Woodruff) senza banalizzarli, ma anzi mettendo in luce la capacità di Curtis di parlare delle proprie preoccupazioni così strettamente individuali in modo tale da rendere il racconto della propria vita universale: un qualcosa, insomma, in cui chiunque potesse riconoscersi. Proprio allo stesso modo in cui il suo modo di ballare, scomposto, quasi spastico e tutto scatti, divenne il simbolo di un’era e dello scollamento delle nuove generazioni dall’establishment e dalle vecchie culture alternative. Come sempre nella collana “Tracks”, molti miti vengono sfatati: i ruoli delle due donne nella vicenda umana di Curtis, le responsabilità di Tony Wilson della Factory nel suo suicidio, il ruolo di Martin Hannett nella creazione del suono inconfondibile della band (a riprova che a volte un produttore artistico può essere più lungimirante dei musicisti che registra...). Completa l’ottimo saggio un’interessante postfazione di Massimiliano Raffa sulla (scarsa) fortuna dei Joy Division in Italia. Un librettino indispensabile a chi c’era, ma anche a chi non c’era e s’è innamorato della musica del Joy Division attraverso i suoi moderni epigoni (Interpol, Editors...) e ancora non sa di esserlo.
Articolo del
05/10/2008 -
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