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Uscito in patria nel 1993, questo “Summer Of Love. The Making Of Sgt. Pepper” di Sir George Martin viene finalmente tradotto in italiano colmando una clamorosa lacuna (tra le tante che affliggono l’editoria musicale italiana).
A metà tra il saggio musicale e l’amarcord autobiografico, è un libro che sa farsi amare da qualunque fan dei Beatles, da quello più genericamente interessato alle vicende umane dei quattro (ma sappiamo tutti quanto sono deliziosi e quanto contribuiscono al mito gli aneddoti di vita vissuta) a quello più interessato alle tecniche di registrazione e alle soluzioni tecnico-musicali adottate dal quartetto di Liverpool con il contributo attivo dell’autore del libro. Mai noioso e sempre accessibile, da questo punto di vista “Summer Of Love” ha il merito di dissipare voci maligne che negli anni si sono susseguite sullo scarso ruolo dei Fab Four nella composizione dei propri capolavori, lasciando intendere che tutto il merito fosse da attribuirsi proprio a George Martin. Ebbene, proprio il diretto interessato, colui che guadagnerebbe di più dalla conferma di dette voci, smentisce, riconfermando il ruolo preponderante dell’immaginazione creativa dei quattro: il ruolo di Sir George è stato sì determinante, ma davvero molto spesso come “traduttore” pratico delle intuizioni di John, George, Ringo e Paul. Già: Paul, il bistrattato Paul. Il libro contribuisce a ristabilire la verità: e cioè che in quel periodo storico, 1966, 1967 e immediati dintorni, il più avanguardista era proprio lui, con i suoi interessi rivolti alla musica colta contemporanea (non esattamente roba da cantare sotto la doccia), seguito a ruota da George, con il suo interesse profondo e tutt’altro che modaiolo per la musica classica indiana. John, all’epoca, veniva in pratica buon terzo. E pure dell’altro bistrattato Ringo si rivaluta il ruolo in fase creativa: l’unico che potesse permettersi di dire a John che quello che aveva composto era una stronzata, se era il caso. Ma non c’è solo questo, in “Summer Of Love”. La rievocazione delle sessions per la registrazione di uno degli album fondamentali del rock è fatta anche di tanti episodi, come dicevo, che mettono in luce la profonda amicizia che all’epoca intercorreva tra Paul e John, quasi incredibile se si pensa all’acrimonia che John manifestò nei confronti del Macca per tutti gli anni ’70, giungendo perfino a non aprire la porta del condominio a un McCartney fornito di chitarra giunto appositamente dall’Inghilterra a New York per fare un’improvvisata al vecchio amico. Sir George Martin ha anche l’occasione di rievocare il suo incontro con i Beatles, e svariate sessions di registrazione di brani degli album precedenti, una su tutte, “Tomorrow Never Knows” (titolo di Ringo) da “Revolver”.
Insomma, un libretto aureo e indispensabile per ogni Beatle-addict che si rispetti.
Articolo del
13/01/2009 -
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