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“Bianciardi!!”, bel documentario di Massimo Coppola presentato all’ultimo Festival del Cinema di Venezia, esce finalmente in dvd. Ed essendo la Isbn casa editrice soprattutto di libri, completano l’opera un libretto contenente “Un ricordo in forma di cronologia” di Maria Jatosti, a lungo compagna dello scrittore grossetano, e due saggi scritti in condominio da Massimo Coppola e Alberto Piccinini, “L’io opaco” e “La mosca sul muro”, già usciti come prefazioni ai due volumi “L’antimeridiano”, dedicati all’opera omnia di Bianciardi. Non si tratta di semplici complementi per far spessore fisico. Ma di integrazioni necessarie, urgenti direi quasi, a inquadrare la personalità di uno scrittore tra i massimi del dopoguerra, non inscrivibile sotto nessuna etichetta. Come ricorda Sergio Pautasso nel documentario: “Era uno scrittore d’avanguardia, ma poi, se si va vedere, dove lo collochi?” Da nessuna parte. Solo e isolato nella storia della letteratura come nella vita: e non perché musone o incapace di suscitare affetti ed amicizie. Ma perché inadatto a integrarsi in qualsivoglia categoria/esercito/famiglia. Dalla tragedia di Ribolla (1954, 45 minatori morti) al suicidio alcolico nella Milano del 1971, la vicenda umana e artistica di Bianciardi finisce per simboleggiare la parabola intera dell’intellettuale italiano: dalle illusioni rivoluzionarie e dalle speranze di palingenesi dell’immediato dopoguerra, all’atroce disillusione sul ruolo del lavoro culturale (non a caso titolo del suo primo romanzo) nella società industriale, al rifiuto di integrarsi nell’ingranaggio produttivo. Girato in un bianco e nero volutamente d’antan, nella sua ora e un minuto di durata “Bianciardi!” non annoia mai: anzi, nel racconto attraverso testimonianze toccanti di amici e collaboratori (Maria Jatosti, Umberto Lenzi, Enrico Vaime, Lando Buzzanca, Furio Cavallini, la figlia Luciana) e filmati d’epoca dello sgretolarsi della vita dell’autore de “La vita agra”, il documentario assume una sua sinistra suspense. Perché il disagio di Bianciardi è il disagio di tutti noi, lavoratori intellettuali di questi cazzo di anni zero. “Anarchico che aspirava a una società senza istituzioni fisse, dove la gente contasse di più”, ma a cui “mancava il mondo piccolo borghese”, dominato dalla “sensazione di essere stato inghiottito dal sistema”, prigioniero in una Milano dove si era trasferito per “mettere una bomba” e che, nonostante lo avesse avvolto di affetti, sentiva ostile, dura e cattiva, Bianciardi riassume il suo e il nostro tempo. Un plauso a Massimo Coppola per averne splendidamente reso il senso in un documentario dalla forza e dall’impatto non comuni.
Articolo del
30/01/2009 -
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