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Nuovo irrinunciabile episodio di Tracks, la meritoria collana di No Reply nata sulla falsariga della “33 1/3” della angloamericana Continuum (di cui ha anche tradotto alcuni titoli) che propone volumi monografici di formato tascabile volti ad approfondire la conoscenza de “i dischi imperdibili, le pietre miliari, della storia della musica”.
Quello di Renzo Stefanel per l’album “Anima latina” di Lucio Battisti, tuttavia, è molto di più e meglio di un mero “approfondimento”. Per l’occasione il giornalista padovano - già autore di "Ma c'è qualcosa che non scordo - Lucio Battisti - Gli anni con Mogol", analisi della poetica di Lucio e Mogol pubblicato lo scorso anno per Arcana – ha indossato quasi i panni del detective, e ha meticolosamente sviscerato il prima, il durante e il dopo relativi alla creazione di quello che solitamente la critica ritiene l’album “sperimentale” della coppia Battisti/Mogol. E, oltre ad analizzare nel dettaglio più minuto il testo e la musica di ogni singolo brano, è riuscito a intervistare (compiendo una fatica che immagino improba) praticamente tutti i superstiti che abbiano avuto anche un ruolo marginale durante la difficile genesi del disco nell’estate / autunno del ’74 tra gli studi Fonoroma di Milano e il Mulino di Anzano del Parco presso Como. A partire dal sempre basilare Mogol, passando per Alberto Radius, Mario Lavezzi, Mara Cubeddu, Gianni Dall'Aglio, Bob Callero, Gian Piero Reverberi, Massimo Luca, Toni Esposito, Claudio Pascoli fino all’ultimo dei tecnici. Dulcis in fundo, sono anche stati interpellati nuovi nomi indie la cui musica si nutre a tutt’oggi di “Anima latina”, quali gli Amari, Dente, gli Annie Hall e i Granturismo.
Ne emerge un avvincente spaccato d’epoca, con un Battisti che torna da un viaggio in Sudamerica deciso a realizzare un disco più complesso dei precedenti, in cui riversare le recenti influenze latino-americane fuse con quel progressive che alla Numero Uno (sua casa discografica) in quel periodo aveva iniziato ad essere di casa. E non solo: su “Anima latina” c’è anche una sensibile influenza del kraut-rock tedesco, come può sentirsi su “Il Salame” che anticipa di tre anni (!) i Bowie e Eno “berlinesi”, mentre l‘ariosa “Abbracciala abbracciali abbracciati” posta in apertura possiede sonorità ed atmosfere che fanno addirittura pensare ai Massive Attack e agli Air di fine secolo. C’è poi il funky alla Earth Wind & Fire, c’è – immancabile – la spiccata sensibilità melodica di Battisti, le intriganti liriche sui “due mondi” uomo&donna cari a Mogol, e ancora molto altro. Come Stefanel dimostra con tanto di prove, nulla fu casuale e il Lucio nazionale volle – fortissimamente volle, anche a costo di un qualche dissidio con il suo paroliere – realizzare un’opera forse di difficile fruizione ma assolutamente avanti sui tempi, grazie a quella lucidità d’artista che – e tutti gli intervistati su questo punto concordano – gli faceva avere una marcia in più dei contemporanei. Sono presenti, nel volume, numerosi retroscena anche inediti (la partita di calcetto in cui Battisti si ruppe una caviglia facendo rinviare il completamento del disco; il fallito, singolare incontro tra Battisti/Mogol e Andrea Valcarenghi della rivista “Re Nudo” che avrebbe dovuto portare alla rentrèe dal vivo di Lucio in occasione del Festival del Parco Lambro – di tutti i luoghi! - e molti altri) e misteri, alcuni dei quali svelati e altri ancora avvolti nella nebbia: chi mai sarà il fantomatico “Gneo Pompeo” citato come tastierista nelle note di copertina? Neanche Stefanel (il che è tutto dire) è riuscito a farsi dare una risposta univoca dai “superstiti” e a questo punto – morto Battisti – è probabile che non lo si saprà mai. Illuminante in particolare l’intervista a Gianfranco Manfredi dalla quale, meglio che dalla lettura di mille saggi, si possono evincere i motivi per cui Battisti/Mogol, ad un certo ambiente politicizzato del tempo, non andarono mai a genio. E’ interessante, poi, che Manfredi non abbia spostato di un centimetro le sue convinzioni, e continui a ritenere le liriche di Mogol “distanti” e inadeguate allo spirito giovanile di quegli anni. Alla base di questo volume così attento al particolare – qualità rara in una letteratura musicale italiana fatta spesso di instant books assemblati alla carlona e di taglia e incolla di interviste altrui – c’è sicuramente la passione, reale e più volte affermata da Stefanel nel corso del libro, per “Anima latina”, che l’Autore considera il migliore o comunque il più completo e ambizioso tra i tanti imprescindibili album realizzati dal duo Battisti/Mogol (io più banalmente propendo per “Emozioni” del 1970 che – OK - in realtà era una specie di compilation di brani usciti su singolo, ma all’epoca le distinzioni non erano così chiare).
Ma comunque la pensiate, “Anima latina” è uno dei dischi che più hanno innovato nel Pop Italiano, e le circa 400 pagine del volume di Stefanel gli rendono pienamente giustizia. I battistiani d.o.c. non se lo faranno mancare, ma dovrebbero dargli una letta anche quelli che su Battisti continuano a nutrire i soliti vecchi ingiustificati pregiudizi. Potrebbero imparare qualcosa di nuovo. Potrebbero, magari, cambiare opinione.
Articolo del
24/03/2009 -
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