|
Dicono che il rock sia morto o che quantomeno attraversi una fase di ristagno, ma la salute del “documentario rock” – o meglio, del rockumentary, non potrebbe essere migliore. Il decennio in corso ci ha già regalato due capolavori assoluti del genere quali “24 Hour Party People” e “Dig!”, ed ora ecco arrivare su DVD il terzo, forse il migliore di tutti: quel “The Story Of Anvil”, una delle sensazioni del Sundance Festival del 2008.
All’inizio degli anni ’80 il gruppo heavy metal canadese Anvil fu famoso per 15 minuti e arrivò a esibirsi in stadi da 50.000 persone a fianco di band come Anthrax, Scorpions e Slayer; ma a differenza di questi, gli Anvil non fecero mai il grande salto in “serie A” e vennero via via marginalizzati, ridotti ad esibirsi in piccoli club di fronte a pochi sparuti fans. Chiunque nelle loro condizioni avrebbe mollato, ma non Steve “Lips” Kudlow (vocalist e cantante) e Robb Reiner (batterista) che in tutti questi anni, nonostante l’indifferenza generale, hanno continuato a tenere vivo il gruppo (pur con gli inevitabili cambi di line-up), a incidere dischi e a fare concerti. L’attento occhio del regista Sacha Gervasi (che in precedenza è stato co-sceneggiatore per “The Terminal” di Steven Spielberg) segue gli oggi 50enni Lips e Reiner nelle loro esistenze giornalieri alla periferia di Toronto, alle prese con lavori ripetitivi e poco appaganti (“Lips” lavora in un’azienda che recapita pasti precotti nelle scuole), con le mogli, i figli e familiari assortiti, ma sempre con il chiodo fisso di tenere vivo il sogno che fecero quando si incontrarono per la prima volta all’età di 14 anni: vivere il “rock’n’roll dream”, ricatturare per la seconda volta quelle sensazioni di fama e adorazione da parte dei fans che provarono quando a vent’anni si esibirono su palco del festival Super Rock in Giappone di fronte a una folla oceanica. Immagini di repertorio e interviste ad affermati contemporanei (Slash, Lars Ulrich e altri) fanno da contrasto con la deprimente realtà attuale, fatta di concerti in club semideserti e a scalcinate feste di matrimonio, conferendo un tono a tratti patetico all’ostinazione di “Lips” e Reiner (in questo senso è particolarmente forte la scena in cui la sorella del batterista, intervistata, sostiene che i due dovrebbero smettere di suonare perché “è ovvio che gli Anvil non interessano più a nessuno...”). Ma poi in realtà in “The Story Of Anvil” c’è anche molta commedia: i 2 (due) superfans della band presenti a tutti i concerti sono due macchiette straordinarie, ed esistono momenti in cui non pensare a “Spinal Tap” è impossibile: in particolare, quando in trasferta in Inghilterra “Lips” e Reiner vanno a visitare Stonehenge, in quella che è una chiara citazione da parte del regista.
C’è anche una tournèe in Europa che “Lips” spera possa rilanciare finalmente la band. Organizzata da un’improbabile road manager italiana (Tiziana Arrigoni), si rivela però un disastro, tra treni persi, liti furibonde con promoter che non vogliono pagare il gruppo e un avvilente concerto finale a Bucarest di fronte a 14 persone paganti. Chiunque lascerebbe perdere ma non gli Anvil: “Lips” impegna addirittura la casa ed ottiene un prestito dalla sorella per incidere un nuovo album con il rinomato (e carissimo) produttore inglese Chris Tsangarides. Del nuovo album “This Is Thirteen” però non ne vuole sapere nessuna casa discografica, così agli Anvil non resta che produrlo e venderselo da soli...
Il finale, che non svelo, è un inaspettato happy ending; anche se poi, come dichiarato da Sacha Gervasi, il bello per gli Anvil è iniziato un secondo dopo la presentazione del documentario a Sundance. Il nome della band dell’Ontario, grazie al successo del film, è ora sulla bocca di tutti, e gli Anvil realizzeranno il loro sogno di tornare a esibirsi negli stadi quando la prossima estate faranno da supporto agli Ac/Dc in alcune date americane.
Non c’è bisogno di essere fan dell’heavy metal per amare “The Story Of Anvil”: il vero collante dell’intera vicenda infatti è il rapporto tra i protagonisti (“Lips” e Reiner, in una serie di scene congiunte che oscillano tra la commedia, il dramma ed il sentimentale), due amici inseparabili che dopo oltre un quarto di secolo continuano a inseguire, a dispetto dei dubbi delle rispettive famiglie e dell’indifferenza di pubblico e discografici, il sogno che li fece incontrare quando erano ragazzini. Inoltre è anche divertente (almeno) come “Spinal Tap” a cui risulta però superiore, perché comunque qui è tutto vero, tutto realmente accaduto. E’ il rockumentary dell’anno e, probabilmente, del decennio.
Articolo del
19/06/2009 -
©2002 - 2025 Extra! Music Magazine - Tutti i diritti riservati
|