|
Piena estate, solita domanda: quale sarà il tormentone di quest'anno? E se invece, per quest'anno, per cambiare, provassimo a chiederci cos'è che rende una canzone un tormentone, un tube, come dicono i francesi, una haunted melody, per dirla all'inglese, un tarlo nell'orecchio? E quali sono le sue caratteristiche costitutive?
Le risposte a queste domande non sono da inviare a Via Teulada, come si faceva per i quiz Rai anni 70, ma si possono agevolmente trovare in quest'aureo libretto pubblicato dall'ottima Isbn e scritto dal filosofo e musicologo francese Peter Szendy. Che parte da un'affascinante ipotesi/intuizione: nonostante quello che i loro testi ci vogliano far credere, a ben vedere i tormentoni in realtà parlano di sé: oltre ai casi in cui questo è esplicito, come in un Un air comme ça e Le Tube di Boris Vian, in molti questa doppia lettura è ciò che probabilmente il nostro cervellino compie a nostra insaputa, ancorando la melodia su cui vengono cantate le parole al nostro cervellino e alle nostre orecchie. Caso principe, Parole, parole, parole, interpretata da Alberto Lupo e Mina. Fateci caso. Comunque sia, i testi dei tormentoni parlano di situazioni genericissime in cui finiamo misteriosamente per ritrovare scampoli della nostra irripetibile vita privata, unica per definizione (“è proprio come è successo a me”), come nota Szendy anche sulla scorta di alcune osservazioni di Søren Kierkegaard. Il tormentone è così sempre unico per ciascuno di noi, perché snida “in noi ciò che di più segreto” ci appartiene. Altri spunti vengono dallo psicologo freudiano Theodor Reik, secondo cui l'emergere di una melodia ossessiva dal nostro inconscio veicola un messaggio che è legato o alle parole del testo o ad altre che in qualche modo sono connesse col tormentone. Parole che intensificano i nostri sentimenti quanto più sono banali e generiche. Szendy trova conferme nel cinema di Resnais, Lang, Hitchcock. Altra conferma è che in nessun caso una melodia senza parole e che non rimandi in alcun modo a parole è mai stata censurata. Questo allora conferma il valore della forza superiore che alle parole conferisce la musica, che dimostra un “incomprensibile potere di ossessione sulla psiche” (p. 79). Il tormentone è così “un inno intimo, una sorta di Marsigliese della psiche, incontenibile, compulsivo, impossibile da fermare” (p. 79): si arriva così al paradosso di una “intimità dell'inno che confonde le frontiere tra privato e pubblico” (p. 81). C'è anche un altro aspetto del tormentone, che deriva dal suo essere merce di consumo e dal suo essere analogo, per quanto riguarda il suo emergere dall'inconscio, al motto di spirito, come notavano Kant e Freud: nel suo riprodursi in noi, nella forza irresistibile che ce lo fa permanere nell'orecchio, esso ci distrae. Come il denaro che non ha valore in sé se non viene usato. Guarda un po', molti tormentoni parlano del denaro: le differenti Money di Michael Jackson e dei Pink Floyd (fu l'unico loro singolo di successo in Usa), Money Money Money degli Abba, Money Honey dei Drifters e di Elvis. E come il denaro serve per comprare qualsiasi cosa (è cioè generico), così i tormentoni non valgono nulla in sé: si equivalgono perché valgono per ciò che smuovono in noi. “Ritornano in noi, malgrado noi, per parlarci di noi. Ci fanno perfino accedere a noi” (p. 100). Ma ecco il punto dolente. Dato che le situazioni che mettono in scena sono dei cliché (appunto, Parole, parole, parole), in fin dei conti ci dicono anche che noi stessi, ahimé, siamo un cliché: siamo banali e uguali a tanti altri. Solo che il nostro modo di esserlo, paradossalmente, è unico e irripetibile.
Chiosano benissimo il libro le parole di quello che forse è il tormentone killer in assoluto, un brano che personalmente odio, ma che come sento o ricordo – non a caso – mi si stampa in mente per ore: Killing Me Softly With This Song di Roberta Flack (famosa anche per la cover dei Fugees). La quale recita: “Cantando la mia vita con le sue parole [...] / lui ha cantato come se mi conoscesse in tutta la mia profonda disperazione / e poi mi ha attraversato con lo sguardo come se non ci fossi”. Touché. Libretto aureo, non facilissimo ma prezioso.
Articolo del
27/07/2009 -
©2002 - 2025 Extra! Music Magazine - Tutti i diritti riservati
|