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A costo di sembrare mollichiano, devi dire subito che questo libro è bellissimo. È uno dei due generi di libri musicali che leggerei sempre, ovunque e con sommo gaudio. E per cominciare a spiegarvi perché stavolta non trovo di meglio che rubare qualche riga alla postfazione di Franco Zanetti, “editor volontario e non retribuito” e “massaggiatore emotivo”: “Enrico Casarini è pazzo [...], perché solo un pazzo potrebbe impegnarsi - “a tempo perso”, o, per meglio dire, senza alcuna certezza che il suo impegno trovasse finalizzazione – nella scrittura, e prima ancora nella maniacale preparazione, di un intero libro dedicato a meno di nove minuti di televisione di 35 anni prima. [...] Libri come questo [...] di solito si trovano nelle librerie inglesi, statunitensi, francesi. Sono labours of love, fatiche che possono essere compiute solo da chi lo fa per passione, non per dovere, né (ancor meno) per denaro. Perché la pazzia di Casarini si è spinta, autonomamente, fino alla maniacalità”.
Santa e benedetta, aggiungo io! Questo saggio è una sorta di Google Maps del tempo. Incentrato sul famosissimo duetto tra Mina e Battisti di domenica 23 aprile 1972 a Teatro 10, vi si avvicina partendo da ciò che all'Evento stava intorno, procedendo per progressive messe a fuoco che ricordano proprio quelle dell'applicazione googleiana. E così Casarini ricostruisce un clima, un'epoca, fedele al sottotitolo, che vede nel duetto minabattistiano il simbolo di un'Italia che stava finendo e non sarebbe tornata mai più. Dunque ricostruzione sociale, politica, economica, dello spettacolo. E vabbé, fin qui, direte voi. Ma anche del costume! Casarini ha scartabellato annate intere di quelle riviste da barbiere e da parrucchiere che orientano e allo stesso stampo sono lo specchio dell'Italia profonda, quella di pancia (Radiocorriere Tv, Sorrisi e canzoni, Bolero, Oggi, Gente, Stop), spesso alla caccia di dichiarazioni non solo dei due Sommi della musica italiana, ma anche di tutti coloro che allo show hanno lavorato. Scava tra le pieghe di Teatro 10 ultima edizione, show oggi di straculto ed emblema di un modo di far tv per cui si prova nostalgia, allora di gran successo popolare (ma certo, c'era solo la Rai, e per di più con due canali) ma oggetto di feroci critiche da parte dei quotidiani e dei settimanali d'opinione (ferocissime quelle di Sergio Saviane su L'Espresso), figlio com'era dell'ammirazione del regista Antonello Falqui (straculto anche lui) per i musical di Broadway e la struttura snella ed agile dell'Ed Sullivan Show. Casarini – per farci capire come sia nato quel duetto, non previsto in origine – ci racconta le edizioni precedenti dello show, lo stato della carriera e le angosce del conduttore Alberto Lupo e della co-conduttrice/ospite fissa Mina, la preparazione dell'edizione 1972, la costruzione di ogni singola puntata e le reazioni sui giornali, caratterizzate da critiche sempre più feroci prima e stanche e disattente poi. Tanto che dell'eccezionalità di quei nove minuti di Mina e Battisti la critica non se n'accorse neppure. Per Battisti fu l'ultima esibizione alla tv italiana. Mina condusse nel 1974 Milleluci, sul Secondo Canale, in coppia con la Carrà e sempre sotto la regia di Falqui e poi – pubblicità a parte – se n'andò anche lei. La tesi di Casarini – suggerita piano piano – è che quell'esibizione fu il simbolo della morte dell'Italia del miracolo, l'Italia che innovava e produceva, che non aveva paura, in cui le storture della classe dirigente non erano arrivate al punto tale da trascinarla in un abisso internazionale. Garbo e intelligenza, capacità di parlare a tutti, di unire colto e popolare, di avere – insomma, in una parola – stile, per l'Italia finiscono simbolicamente lì. Non è questo comunque il solo motivo di fascino del libro, scritto talmente bene da affascinare, conquistare e appassionar e in ciascuna sua pagina. Ci si deve mettere anche la ricostruzione maniacale dei dettagli. Alcuni di essi fondamentali. Come i “Cinque amici da Milano”, la rock band messa su per l'occasione da Battisti, che accompagnò il duetto. Le vite di Gabriele Lorenzi, Massimo Luca, Gianni Dall'Aglio, Angel Salvador ed Eugenio Guarraia ci vengono narrate nel loro prima e dopo. Di alcuni si sapeva già molto, in effetti. Ma su altri, come Guarraia, il buio era pressoché totale. A parte la ricostruzione di un'Italia della musica assolutamente fascinosa, ci sono risvolti umani che colpiscono. Come la vicenda di Guarraia, figlio di operai che volle con tutte le sue forze diventare chitarrista, e ci riuscì facendo della musica il suo mestiere, ed ad alto livello. Con la famiglia – e pure la moglie – sempre contrari, ché non era un mestiere vero: tanto da scoprire a un certo punto che la moglie e la madre “dirottavano le telefonate d'ingaggio che mi arrivavano: Eugenio? No, non suona più”. Distruggendogli la carriera. Spero che le abbia uccise, e sia uscito portato in trionfo dal processo, assolto come il Jack Lemmon di Come uccidere vostra moglie (il quale, peraltro, era incolpevole).
Scherzi e divagazioni a parte, come dicevo, il fascino del libro sta anche in questo: il ritratto vivo, vitale ed emozionante di un'Italia che non c'è più, colle sue luci e le sue ombre. Eccezionale Casarini. Bravo Coniglio editore. Applausi e titoli di coda.
Articolo del
02/10/2009 -
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