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Romanzo storico, noir o d’amore? Un po’ di tutti e tre, in un mix che non è giustapposizione di elementi, ma fusione alchemica di essi capace di fare di questo libro qualcosa d’altro.
In questa sua seconda prova, il venticinquenne veneziano Giovanni Montanaro (finalmente un “giovane scrittore” che sia anagraficamente tale, va detto) incrocia due storie e almeno cinque piani temporali. Le storie sono quella del pittore Vincent des Jours, ritrattista di uomini di potere nella Parigi del 1572, quella dell’esplosione delle lotte tra ugonotti e cattolici, che la disgrazia di innamorarsi di Adeline de Montrouge, giovane moglie del duca cattolico Marc-Antoine, e quella di Leo Kamp, sarto, nonché falsificatore di passaporti nella Berlino immediatamente prima del crollo del Muro. Le due storie si prolungano nel tempo: la prima nella Lisbona del 1611, con protagonista il marinaio fiorentino Giotto degli Onesti, in procinto di imbarcarsi per la Americhe a cercar fortuna; la seconda prima nell’Italia del 1991 e poi nella Berlino del 2009. in comune quelli che sono i due veri protagonisti, Vincent des Jours e Leo Kamp, hanno diverse cose: innanzitutto, entrambi costruiscono immagini, uno dipingendo, l’altro sia nel senso ovvio del look che un vestito può dare a chi lo indossa, sia in quello del creatore di identità che egli fornisce a chi gli chiede un passaporto falso per espatriare clandestinamente dalla DDR; poi, come ha detto l’altre stesso in un’intervista a www.delirio.net, “il fatto che nella vita di entrambi questi uomini c'è stato un momento decisivo, un momento in cui le cose potevano andare diversamente, e che dunque loro sentono di vivere nelle "conseguenze" di questi eventi” per cui questo “è un libro di uomini che lottano, che si oppongono al destino e che, in qualche caso, riescono loro stessi a determinare le conseguenze”; infine, il fatto che entrambi finiscono per essere intrappolati in una qualche immagine. C’è da dire che anche le situazioni in cui si muovono presentano dei parallelismi: sono quasi tutte società totalitarie, dominate dall’intolleranza o in cui comunque la libertà si è persa. La Parigi delle guerre di religione e del massacro della notte di San Bartolomeo, il Portogallo dei sessant’anni di occupazione spagnola, l’America coloniale che Giotto degli Onesti vuole raggiungere, la Berlino comunista. Per la legge dei parallelismi verrebbe da pensare che pure l’Italia del 1991 ricada nel novero (e in effetti, quello fu l’ultimo anno prima di Mani Pulite), anche se la donna amata da Leo Kamp, Iren Gori, vi giunge in fuga dal ben peggiore comunismo di Stato tedesco. Forse solo la Berlino del 2009 sfugge all’elenco (cosa che ben si accorderebbe con il finale). A legare tutte queste epoche, un misterioso quadro di Vincent des Jours, di cui non dirò di più per pietà di chi volesse leggere il libro, immagine che cattura il destino del suo artefice, così come la scelta definitiva di Leo Kamp lo intrappolerà, felice e contento, nella persona che avrebbe sempre voluto essere. Il libro è concettualmente interessante e ricco di spunti su cui meditare, anche se alla fine il concetto centrale, come nota Tiziano Scarpa nella sua presentazione in seconda di copertina, è l’amore visto come “sentimento che si sconta per tutta la vita”, il che non è esattamente una novità.
Non mi sento però di consigliare questo libro a tutti: Montanaro sa il fatto suo, sa ordire una storia complessa e portarla avanti con sicurezza, ma sfodera uno stile che non è per tutti e che sicuramente non rientra nei miei gusti. Potrà però piacere a chi ha apprezzato i romanzi di Antonia Arslan (“La masseria delle allodole”, 2004; “La strada di Smirne”, 2009), che non a caso è fra i primi (in ordine cronologico) estimatori di Montanaro. Di che stile parlo? Basti questa citazione: “Si alzò in piedi. Si avvolse in un telo e si sfregò forte. Anche se era estate, l’acqua la infreddoliva sempre e un brivido la percorse. Andò verso una piccola specchiera e cominciò a pettinarsi. Si guardò nel vetro per qualche istante. Non si piacque; allora passò una mano nei capelli per scompigliarli. Così struccata e arruffata sembrava ancora la ragazza era stata fino a un anno prima”. Ovvero: tutto troppo letterario, didascalico e minuzioso. Questo non è un passaggio isolato, ma per tre quarti del libro i personaggi sembrano meditare su qualsiasi azione compiano, anche la più banale e quotidiana. Certo, son gusti. E la citazione serve proprio a far capire a chi non ha gli stessi miei, che il libro gli può piacere assai. Per quanto mi riguarda, un po’ pretenzioso: rimandato.
Articolo del
26/10/2009 -
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