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Con quale metro giudicare l’autobiografia di Vincenzo Micocci, uno dei più grandi discografici italiani dell’età d’oro della musica nostrana, quella che va dagli anni '50 fino ai primi '80? Non è una domanda da poco, perché se si cerca in questo libro dell’ex direttore artistico di RCA Italiana, Ricordi e poi IT il ricordo piccante, il dettaglio tecnico, il gossip illuminante di una personalità, non lo si troverà. E quindi si rischia di rimanere delusi. Delusione che può aumentare quando ci si accorge che delle 280 pagine del libro l’autobiografia di Micocci occupa solo le prime 160. il resto sono interventi di chi ha lavorato con lui: Bruno Piattelli, Ettore Zeppegno, Gianni Meccia, Nico Fidenco, Bobby Solo, Michele Mondella, Carolina Prezioso, Antonello Venditti, Ernesto Bassignano, Gianfranco Baldazzi, Edoardo Vianello, Mario Castelnuovo, Pasquale Panella, il figlio Stefano Micocci. In più, Luciano Ceri, tra i curatori del libro, ci elenca gli artisti accompagnati da Micocci al Festival di Sanremo e riporta le note di copertina dei dischi stilate dallo stesso, ai tempi in cui l’espressione “note di copertina” indicava una sorta di prefazione all’ascolto del vinile e non i meri dettagli tecnici.
E allora, proprio delusione? No. Perché piano piano chi legge capisce che l’oggetto del libro non è il disvelamento di retroscena inediti (dei quali tutti comunque siamo affamati), ma l’intento di comunicare a chi non ha vissuto l’epoca di cui sopra quanto diversi fossero spirito, attitudine, interesse, amore per la musica e per la novità da parte chi doveva comunque far quadrare i conti. Micocci, per chi non lo sapesse, è stato l’inventore del termine “cantautore”, riferito a Gianni Meccia, artista forse oggi prescindibile, ma ai tempi una novità fuori dai solchi pretracciati di ciò che era pubblicabile. Un appuntamento, una chitarra, due canzoni e poi un bel “Meccia, mi faccia subito un provino chitarra e voce”! (ovvero un demo “ufficiale” registrato presso la casa discografica): due giorni dopo, il contratto. Micocci non era sempre così celere, anzi era proverbiale il suo lasciar maturare i tempi, che gli valse l’invettiva da cui il libro prende il titolo, scagliatagli da un incazzatissimo Alberto Fortis nel 1978 nella (per allora) scandalosa “Milano e Vincenzo”. I retroscena ve li lascio scoprire da soli leggendo il libro. Quello che c’è di importante da dire è che Micocci gli artisti valevoli se li coltivava, li difendeva contro le perplessità dei vertici discografici e li lanciava a dispetto di qualsiasi valutazione di mercato. Due nomi su tutti: Francesco De Gregori e Rino Gaetano. Ma ci sarebbe anche da ricordare che il direttore artistico che fece pubblicare a Luigi Tenco il suo primo vero disco, nel 1962, era proprio lui, Micocci. E poi ci sono tutti gli altri, da scoprire leggendo il libro.
Alla fine questo libro lascia ancora più forte l’amaro in bocca per l’assenza di discografici di questo tipo da molti anni a questa parte. L’attuale crisi della discografia italiana credo sia davvero da imputarsi all’assenza di uomini come Micocci, intenzionati a guadagnare facendo cultura, e ben poco alla diffusione di pirateria e download illegale. Aggiungo solo un dato, non contenuto nel libro, a dimostrazione della tesi: un medio successo indie in Usa (dove la discografia ha problemi molto superiori di download illegale) vende 300.000 copie. La popolazione Usa è di 300 milioni di abitanti. Insomma, un disco ogni mille abitanti. In Italia, 55 milioni di abitanti, si dà il disco d’oro (sto parlando di grandi successi mainstream, nazional-popolari, quindi) a 35.000 copie vendute. Un disco ogni 1600 abitanti. Se siamo ridotti così, è perché mancano i Micocci.
Articolo del
01/11/2009 -
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