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Esiste Federico Moccia ed esistono i suoi romanzi (e film) da neo-Liala, che mostrano una parte del mondo adolescenziale, che sicuramente esiste, ma non è l’unica. Ed esistono, come visto da Chiambretti su Italia Uno, i Pino Scotto che proclamano l’esistenza di tutt’altra adolescenza. Fatto sta che l’uno e l’altro sono vecchi, irrimediabilmente vecchi. E quindi che caspita ci possono dire di vero, non kitsch, non trash, sugli adolescenti di questi cazzo di Anni Zero? Già solo per questo motivo “Casto. Frammenti di un adolescente” è interessante: perché questo romanzo autobiografico scritto a sedici anni, nel 2007, mostra in presa quasi diretta il punto di vista, le esperienze, gli affetti, i pensieri di un adolescente vero, in carne, ossa, tastiera e desktop. Il che, converrete, in questo nostro che non è un Paese per giovani, è già una notizia.
Nati “spontaneamente, quando mi è sembrato finalmente che un certo periodo della mia vita avesse preso la piega di un romanzo, appunto, con tutte quelle belle coincidenze e possibili riflessioni sugli eventi che succedono nei film che guardano gli adolescenti”, questi “frammenti di un adolescente” si mostrano con tutta l’incoerenza, il desiderio, la follia, la voglia di normalità e diversità al tempo stesso, la determinazione e l’indecisione che caratterizzano una delle età più difficili della vita. E mostrano, vivaddio!, quel che ogni persona di buon senso e di buona memoria ha sempre saputo: ovvero che non esiste la truppa indifferenziata dei “ggiovani” dei media ufficiali, ma che esistono tanti tipi di giovani, in virtù dell’ovvio fatto che anch’essi (udite! Udite!) sono persone. Casto parte da un innamoramento, assoluto, totale, immotivato come lo sono sempre gli innamoramenti, a maggior ragione durante l’adolescenza. Poi lo spunto si perde per strada, ma per un buon motivo: “Non ero più innamorato, e mi è sembrato divertente continuare lo stesso, a vuoto, per inerzia. Scrivo per assurdo”. Ma non assurdamente. Casto, in questo romanzo scritto due anni fa, è ancora scrittore acerbo, ma con diverse qualità e buoni spunti, anche se magari troppo insistiti. Come nelle pagine in cui riesce a trasmettere il senso del pensiero dominante di Lei, mentre prepara un’interrogazione di Scienze: a ogni parola segue, tra parentesi quadra, “Lei”, appunto. Bell’idea, anche portarla avanti per qualche pagina è troppo. Casto comunque appassiona il lettore alla sua storia/non storia, al suo scontro con una realtà, quella della profonda provincia foggiana, che pare incredibilmente ferma agli anni ’50: preti che considerano satanista il rock, ma non trovano nulla da dire su techno e house (probabilmente perché non ne è arrivata notizia in Vaticano. Altrimenti, “Contrordine, fratelli!”); formule esorcistiche per indicare i tumori che credevo scomparse da almeno 35 anni; sguardi di disapprovazione per i capelli lunghi; eccetera.
Ce ne sarebbero, di spunti, per un nostrano Cronenberg che ne volesse trarre un horror adolescenziale come di quelli che in Usa raccontano meglio di qualsiasi analisi sociologica il Midwest. Ma di horror in questo libro, non ce n’è, sia chiaro. C’è invece uno scrittore in erba, ma di talento. Se fiorirà o si perderà, lo scopriremo solo vivendo.
Articolo del
03/12/2009 -
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