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Guardo sopra la cassetta delle lettere e che ti trovo? Oibò, un tomo enorme su Vinicio Capossela, di 576 pagine, inviatomi non richiesto da Arcana. Piccola crisi: Capossela proprio non lo reggo (e non è il caso di esporre qui i motivi della mia idiosincrasia per iddu), ma l’invio presuppone riconoscimento di professionalità. E quindi diamone prova: leggiamo il libro senza farci influenzare dal mio gusto che mi porta lontano dal Conte patafisico. Leggiamo e giudichiamo il libro in sé, una volta di più, ancora di più.
Dopo questo piccolo dialogo tra me e me, mi sono arrampicato per le valli e le ripe di questa che come tante altre biografie di popstar, ma forse più di altre, è una vera è propria agiografia di Capossela (il quale, non a caso, appare in copertina in una foto che lo ritrae quasi nei panni di un’icona ortodossa). Ma è un’agiografia scritta benissimo, una narrazione affabulante e mitologizzante che fruga, indaga, ravàna (passatemi il venetismo) nell’opera e nella vita anche privata, quando serve a spiegarne la suddetta opera, del Capossela. Con qualche omissione: le storie, leggendarie o no, di groupies che circolano sul Nostro non vengono prese in considerazione, tranne forse in un breve criptico accenno a pagina 480, decifrabile da chi sa. Ma non è questo che importa. Se io, anticaposseliano, ho faticato, un caposseliano gioirà e divorerà in quattro e quattr’otto e otto sedici questo tomo che fa della vita e delle opere di Capossela un lungo cantare epico che potrebbe essere intonato dallo stesso. Padalino è bravissimo: scrive un vero e proprio romanzo biografico, misto di storia e d’invenzione, dettagliatissimo, capace di illustrare la vicenda umana e artistica di Capossela dall’alcolico al politico, dal rebetiko ai Calexico, dal balcanico al gymnastyco, ponendo in adeguata e rilevata luce il mondo culturale e i riferimenti che stanno dietro a ogni canzone, spettacolo, show, iniziativa, reading, recital, libro del Nostro, che mostra di possedere vasti e insospettati orizzonti nel cuore, tutti uniti dal mito fondante del Sud del Sud dei Santi, che a volte è geografico e a volte no. Scontri e incontri, influenze e deviazioni che hanno portato il Vinicio dall’essere un piccolo clone di Tom Waits e Captain Beefheart a diventare un artista capace di suscitare un interesse anche internazionale (magari un po’ esotista, ma questo è da mettere sempre nel conto quando si parla di artisti italiani in Usa o Uk, a meno che non facciano generi strettamente anglosassoni).
Per i fans, libro consigliatissimo, il cui destino è probabilmente quello di diventare una pietra miliare nella letteratura critica su Capossela e a cui quindi auguro meritate ristampe su ristampe. E che segnala un autore – Padalino, ché di Capossela si sapeva già – in possesso di grande acume e di bello stile. Cosa che non sempre tocca in dono a chi scrive di musica. Ma Padalino, con pace di Zappa, potrebbe anche danzare di architettura, credo.
Articolo del
28/12/2009 -
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